Non è solo una tentazione. E’ un’idea concreta: un’amministrazione costantemente in sede vacante. Lasciare tutto com’è. Sfidare i socialisti e vedere se in aula sono compatti nel continuare ad astenersi o, addirittura, nel votare contro Lapenna. E poi puntare sulle divisioni di un’opposizione che, negli ultimi sette anni, non è mai stata unita.
Ipotesi che il centrosinistra sta valutando in queste ore, a dieci giorni dall’apertura della crisi di maggioranza. O della “ex maggioranza”, come l’ha definita lo stesso sindaco Lapenna il giorno dopo l’astensione pesante del Psi nel voto in aula sulle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore, le regole che l’amministrazione comunale ha sbandierato come il simbolo della battaglia contro la cementificazione.
E se il segretario del Partito socialista, Luigi Rampa, dice che dal giorno dello strappo “non c’è stato nessun colloquio con il sindaco”, ieri si è tenuta una riunione importante. Un faccia a faccia tra Lapenna e una delegazione del Partito democratico. Del resto, non sono passati inosservati i dirigenti del Pd che sono entrati e usciti dal municipio. Nessuna versione ufficiale. Vige la solita consegna del silenzio.
Le geometrie variabili– Tra le soluzioni possibili, tutte difficili e nessuna indolore, si farebbe strada quella che corrisponde al livello massimo di rischio: andare avanti senza essere sicuri di avere una maggioranza in Consiglio comunale. Giocare al limite l’ultima carta di un mazzo che va esaurendosi: mandare nell’aula consiliare un’amministrazione all’arrembaggio, allo sbando, cioè costretta a conquistare di volta in volta il voto dei consiglieri, magari sperando nell’astensione di qualcuno eletto col centrodestra.
E’ il gioco d’azzardo delle cosiddette maggioranze a geometrie variabili. O, per dirla con un’efficace espressione di Ezio Mauro, un governo in sede vacante, che consegnerebbe Lapenna a una perenne contrattazione con partiti, gruppi, gruppetti e singoli rappresentanti del popolo al solo fine di garantirsi la sopravvivenza politica. Magari cercando di creare una spaccatura fra i tre socialisti (nella speranza che Sabatini si sganci da Barisano e Masciulli), oppure provando a procurarsi tra i banchi dell’opposizione qualche assenza strategica. Una Giunta precaria, costretta a camminare sull’orlo del precipizio, che Flaiano definirebbe un’amministrazione coi piedi fortemente poggiati sulle nuvole.
Il vicolo cieco – Le alternative sono poche e tutte rischiose. Esaudire le richieste dei socialisti, in particolare quella della riduzione del numero degli assessori da 7 a 5, vuol dire scontentare qualcun altro. Comunque si muova, Lapenna rischia di perdere pezzi della coalizione che lo sostiene. Se, come sembra, i partiti che ancora lo appoggiano vogliono davvero lasciare tutto così com’è, allora azzerare la Giunta vorrebbe dire forzare la mano. Cambiare la squadra di governo della città, togliere qualcuno e inserire qualcun altro (si parla di Domenico Molino e Francesco Menna), accontentare con un assessorato il Psi che chiede “il riconoscimento del ruolo politico dei socialisti”: tutte mosse che possono causare lacerazioni profonde tra i partiti e, probabilmente, anche dentro il Pd, il partito del sindaco.
Con la conseguenza di trascinare la città nelle sabbie mobili dell’ingovernabilità.
Il centrosinistra amministra Vasto dal 2006. Mai i vastesi avevano dato un consenso così prolungato alla sinistra, che in tutta la storia repubblicana ha conquistato il Comune solo per un triennio, a partire dal 1967. Il sindaco era Silvio Ciccarone, sostenuto da un’alleanza formata da Il Faro (una lista civica di dissidenti della Democrazia cristiana) e dal Partito comunista.
Nella campagna elettorale di pochi mesi fa, mentre Beppe Grillo tornava a Vasto per la seconda volta nel giro di un anno e mezzo, il centrosinistra non riusciva a portare in piazza o in qualche auditorium nemmeno uno dei suoi leader nazionali. Il risultato delle elezioni politiche veniva dato per scontato. Come se la vittoria fosse ineluttabile. Come se spettasse a qualcuno per diritto divino.
E invece, anche a Vasto Grillo e il Movimento 5 Stelle hanno fatto piazza pulita. Un dato su cui la coalizione che amministra la città ha minimizzato, ripetendo stancamente la cantilena del “trend nazionale che ha condizionato anche il risultato locale”.
Fermo costantemente in mezzo al guado, il centrosinistra vastese sta perdendo la partita del cambiamento. Non può permettersi di vivacchiare alla giornata. Per definizione, quella del cambiamento è l’unica sfida possibile per chi si autodefinisce progressista.
Al momento, invece, la sola parola d’ordine dei progressisti è conservazione. O, peggio, autoconservazione.