Due violenze sessuali e una tentata estorsione. Da queste accuse dovrà difendersi A.R., il 35enne vastese che si trova agli arresti domiciliari da oltre tre mesi. La difesa ha chiesto formalmente che il processo si svolga tramite giudizio abbreviato e, dunque, senza le testimonianze delle donne che racconterebbero i particolari degli incontri a luci rosse.
Dal 28 novembre l’uomo è agli arresti domiciliari, ma ha ottenuto a distanza di pochi giorni dal provvedimento restrittivo il permesso a recarsi dalle 13.30 alle 22.30 nell’azienda della Val di Sangro per cui lavora.
Secondo i carabinieri della Compagnia di Vasto e la Procura, l’uomo avrebbe adescato delle ragazze, invitandole nella sua casa, legandole al letto (la tecnica del bondage, il sesso estremo), registrando il tutto con una webcam piazzata su un tavolino. I filmati sarebbero poi stati usati dall’indagato come arma di ricatto per costringere le donne a tornare nella sua abitazione e ripetere gli atti sessuali. Quattro ragazze hanno raccontato agli investigatori di aver subito queste pressanti richieste. La denuncia è stata formalizzata da una ventitreenne di Lanciano.
“Erano consenzienti”, è stata la posizione che la difesa ha sostenuto fin dal giorno dell’arresto. Ora, però, l’avvocato Giovanni Cerella annuncia che “abbiamo chiesto giudizio abbreviato”, che si svolge in una sola udienza a porte chiuse, dinanzi al gup e permette all’imputato di ottenere, in caso di condanna, uno sconto di pena.
La legatura – La legatura erotica è una forma di bondage giapponese, che si chiama shibari o kinbaku. In Italia la praticano centinaia di persone, che poi mettono in rete foto e filmati. Un mondo notturno su cui ha indagato di recente il giornalista Massimo Lugli, che lo ha descritto sulle colonne del quotidiano la Repubblica e nel libro Gioco perverso, a metà tra l’inchiesta e il romanzo. In alcuni casi, se spinta fino all’estremo, la legatura può essere molto pericolosa. Ha scioccato l’opinione pubblica la tragedia avvenuta a Roma nella notte tra il 9 e il 10 luglio 2011 quando, in un garage di via dei Settebagni, nei sotterranei del palazzo che ospita gli uffici dell’Agenzia delle entrate e dell’Enav, una ragazza di 23 anni è morta per asfissia e un’altra è finita in coma per alcuni giorni. Di quel gioco erotico sfociato terminato in disgrazia il Tribunale di Roma ha ritenuto colpevole un ingegnere di 44 anni, condannandolo a 4 anni e 8 mesi di carcere. Un caso limite finito su tutte le cronache nazionali ed estere.