Il puzzle non è ancora completo. Ci sono alcuni pezzi che non s’incastrano con gli altri. Non è finita a Vasto l’inchiesta sull’omicidio di Michela Strever, la 73enne legata e assassinata per soffocamento nella sua casa di via Villa de Nardis, in una zona di campagna a Nord-Ovest della città.
In carcere dal 26 febbraio scorso c’è Hamid Maathaoui. Rintracciato a Barletta, dove si trovava con alcuni suoi connazionali, il 36enne ha confessato di essere stato lui a soffocare la donna intasandole il cavo orale di fazzoletti di carta. La morte per asfissia era stata già accertata dal medico legale della Asl, Pietro Falco, durante l’autopsia svolta nell’obitorio dell’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto il 20 gennaio, il giorno dopo il barbaro delitto.
In assenza di testimonianze, due elementi hanno indirizzato le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Giancarlo Ciani, seguite da vicino dal procuratore capo, Francesco Prete, ed eseguite dai carabinieri della Compagnia di Vasto, agli ordini del capitano Giancarlo Vitiello, e dai loro colleghi del Ris di Roma: l’agendina della vittima, in cui c’era il numero di telefono dell’assassino, e le tracce di dna trovate proprio su quei fazzolettini hanno consentito agli investigatori di dare associare un nome e un volto all’autore dell’efferato delitto. Maathaoui conosceva la Strever. Per la 73enne ha svolto alcuni lavori edili. E’ il motivo per cui il numero del marocchino, ma associato a un nome scritto in italiano, era registrato sul libricino trovato dai carabinieri nella casa di via Villa de Nardis.
Movente debole – “Il movente sembra riconducibile a una rapina, ma credo siano necessarie altre verifiche”, ha detto Ciani il 28 febbraio, durante la conferenza stampa in cui ha annunciato l’arresto insieme a Prete, Vitiello e al comandante provinciale dell’Arma, colonnello Salvatore Ronzo.
Pur avendo “reso ampia confessione” in cui ha ammesso le proprie responsabilità, il marocchino non è stato convincente sui motivi dell’omicidio. Agli investigatori pare un movente troppo debole quello della rapina ai danni di una donna che, a causa delle sue ridotte capacità motorie (era affetta da una grave forma di artrosi deformante) non aveva alcuna possibilità di reagire al rapinatore.
L’uomo, del resto, la conosceva e poteva facilmente immaginare di non trovare grandi somme di denaro all’interno della casa, in cui entrato facilmente perché la pensionata, viste le sue difficoltà a muoversi, aveva l’abitudine di lanciare dalla finestra le chiavi di casa alle persone che andavano a trovarla. Lo straniero, già colpito da un ordine di espulsione cui non aveva obbedito, non è tossicodipendente. E’ caduta, dunque, la pista della rapina compiuta per acqustare la droga. “Al momento, i reati di omicidio aggravato e rapina aggravata non sono ipotizzati in concorso”, ha precisato il pm. Ci sono ancora dei particolari che non quadrano.
Rimane, intanto, formalmente indagato Antonio Strever, il fratello di Michela. Lui si dice totalmente estraneo ai fatti.
La difesa – “Antonio Strever è rimasto ferito quando è entrato dalla finestra. Per questo il suo sangue era presente nella stanza e ha inquinato la scena del crimine”. Lo afferma Arnaldo Tascione, avvocato del fratello della vittima.
Secondo il legale, “Antonio Strever è rimasto coinvolto nelle indagini perché, entrando dalla finestra”, di cui gli investigatori hanno trovato il vetro rotto, “si è fatto male. Il sangue è caduto sul luogo del delitto, rendendo difficoltose le indagini. Credo siano in corso ulteriori verifiche. Va riconosciuto che i magistrati non hanno mai escluso un’altra pista, tenendo contro di alcuni elementi forniti dalla difesa. Il nostro auspicio è che il fratello della vittima esca al più presto dall’inchiesta”.