La verità era nascosta in un’agendina. L’agenda in cui Michela Strever aveva annotato i numeri di telefono. C’era anche quello di Hamid Maathaoui, il 36enne marocchino arrestato dai carabinieri su ordine della magistratura vastese. Ma “il nome era scritto in italiano e non corrispondeva al nome vero”, spiega il sostituto procuratore Giancarlo Ciani. “L’uomo è stato rintracciato il 26 febbraio a Barletta, dove quella stessa notte è stato sottoposto a fermo”, che sarà sottoposto a convalida da parte del gip di Trani. Poi gli atti verranno trasferiti a Vasto. Al momento, Maathaoui è rinchiuso nel carcere di Barletta.
La prova del tampone salivare ha confermato che era suo in dna trovato nella bocca della vittima, “morta per soffocamento. Nel cavo orale erano stati rinvenuti dei fazzolettini di carta con una traccia commista di dna appartenente a un individuo di sesso maschile”. Nelle indagini svolte subito dopo l’efferato delitto “i carabinieri del Ris hanno immediatamente rilevato il dna, ma il problema era associare il nome” del responsabile dell’assassinio. Per questo sono trascorsi più di due mesi.
Il marocchino conosceva la donna perché “aveva eseguito dei lavori in casa sua. Ha dei precedenti nel campo dei reati contro il patrimonio. Viveva a Vasto dal 2007”, ma “nei suoi confronti era stato emesso un ordine di espulsione cui non aveva ottemperato”. Due le accuse formulate dalla Procura: omicidio aggravato e rapina aggravata.
Il movente e l’altro indagato – “Il movente – ipotizza Ciani – sembra una rapina, ma stiamo svolgendo altre verifiche. Non abbiamo chiuso le indagini”. Il gesto sembrerebbe spropositato rispetto alla motivazione: una rapina ai danni di una donna che faceva molta difficoltà a muoversi a causa di un’artrosi deformante. Non aveva molte possibilità di reagire. Rimane formalmente indagato anche il fratello della 73enne, Antonio Strever. Difeso dall’avvocato Arnaldo Tascione, si professa innocente.