Il fatto non costituisce reato. Con questa formula il Tribunale monocratico di Vasto ha assolto gli imputati del processo sul danneggiamento dell’Acquedotto delle Luci, una delle più importanti testimonianze della storia romana della città.
La vicenda legale iniziò sei anni fa: nel 2007, infatti, veniva sequestrato il cantiere in cui si stava costruendo un edificio a cinque piani in via San Michele, sul lato est della strada, lungo il costone orientale, dove si snoda in leggera pendenza lo storico acquedotto che riforniva l’antica Histonium in epoca imperiale.
In quell’anno i carabinieri posero i sigilli e iniziò la battaglia a colpi di carta bollata. Nel processo si sono costituiti parte civile il Comune di Vasto e Italia Nostra per chiedere il risarcimento dei danni in caso di condanna dei due imputati: il direttore dei lavori e il titolare dell’impresa costruttrice, accusati di aver distrutto parte dell’Acquedotto delle Luci. Il capo d’imputazione è stato successivamente modificato in danneggiamento.
“L’Acquedotto romano ipogeo delle Luci – faceva notare Italia Nostra nel febbraio 2012 – è un’eccezionale opera di ingegneria idraulica romana che, dopo aver percorso oltre 2 chilometri, alimentava le cisterne romane” che ancora sono visibili sulla Loggia Amblingh. “La sua è una storia lunghissima, quasi bimillenaria, poiché, assieme con alcune fontane di acqua sorgiva, fino al 1926 è stata l’unica fonte di approvvigionamento idrico della città e fino al 1956 ha ancora alimentato parte del centro storico di Vasto. L’acquedotto si riconosce in superficie grazie alla presenza di pozzi che collegano il condotto con il piano di campagna. Questi pozzi, chiamati anche luci, hanno consentito in origine la costruzione dell’acquedotto e sono stati usati nei secoli per ispezionarlo e curarne la manutenzione”.
La sentenza – Oggi l’epilogo del processo. Difesi dagli avvocati Giampaolo Di Marco di Vasto e Vittorino Facciolla di San Martino in Pensilis (Campobasso), i due imputati sono stati assolti dal giudice Giovanni Falcione perché il fatto non costituisce reato.