Da quando non scrivo più con la penna ma con la tastiera, da quando non disegno più con il “rapido” ma col mouse, da quando le fotocopie me le faccio in casa con la stampante, raramente frequento le cartolibrerie. Ancora oggi però, ricordo l’odore e i colori di questi luoghi.
Chi riesce a ricordare l’odore che lasciava la matita “appizzutata” con il temperino? Io si.
Dalla penna “Carioca” – sogno di tanti ragazzi – alle biglie di vetro, dalle matite colorate alle gomme per cancellare, passando per una miriade di articoli come i pastelli a cera o la “cera pongo”; come i quaderni dalle variopinte copertine o le penne di tutti i tipi, per finire con i libri scolastici (che bello sfogliare il “sussidiario” quando era ancora nuovo).
Io ricordo ancora quando si andava a “Raspa” a comprare l’inchiostro per il calamaio perché si scriveva col “pennino” o a ricaricare la penna stilografica. Allora la biro era “vietata” ma il pennino e la punta della stilografica si “scacchiavano”e l’inchiostro macchiava quaderni, libri e grembiule. Presto la Bic invase il mondo.
E l’odore del vasetto della colla? Si, quella colla bianchissima che si spalmava con l’apposita palettina. Addirittura per fare i “bulletti” a volte la mangiavamo così come sorseggiavamo l’inchiostro. Che schifo!
E si! Anche le cartolibrerie possono essere un ricordo. Io ricordo Nicola Raspa al “giardinetto”, Cesarino (Universal) in corso Palizzi, due vecchiette, di cui non ricordo il nome, che poi cedettero l’attività a “Coccia pelata” (Santovito) in corso Plebiscito, Tommasino Fabrizio (già ragazzo di bottega di Cesarino), Della Penna in via XXIV maggio e “Zia Cia”, una cugina di mia madre che aveva l’attività in corso de Parma, che … emigrò al “Nord”.
Erano gli anni Sessanta.
Francescopaolo D’Adamo