Telefonate, incontri, faccia a faccia. Si decide in queste ore il destino dell’amministrazione comunale e del centrosinistra di Vasto.
L’attesa – I leader del centrosinistra salgono in municipio per parlare col sindaco di Vasto, Luciano Lapenna. Al faccia a faccia col primo cittadino si presenteranno i rappresentanti di 5 partiti su 6. Il Psi non ci sarà. E’ il convitato di pietra. Ha lasciato il segno il ruvido comunicato di risposta al documento con cui Lapenna, Pd, Sel, Idv, Giustizia sociale e Rifondazione comunista rivendicano le cose fatte ed elencano il programma per il prossimo futuro. In calce a quei fogli servirebbero 14 firme, oltre a quella del sindaco. Quattordici, il numero dei consiglieri comunali di maggioranza. Numero indispensabile perché la maggioranza rimanga tale. Ma le firme sicure sono 11.
Proprio in quel comunicato ufficiale diffuso ieri il Partito socialista afferma chiaramente che le sottoscrizioni di Gabriele Barisano, Luigi Masciulli e Corrado Sabatini non ci saranno. “Non abbiamo intenzione di far cadere l’amministrazione Lapenna, ma in Consiglio comunale valuteremo di volta in volta come votare”, è il concetto anticipato nei giorni scorsi, ribadito dal direttivo giovedì sera e confermato nella tarda mattinata di ieri, al momento di rendere note a tutti le decisioni che ormai da settimane erano nell’aria.
La delegazione dei 5 partiti fedeli senza se e senza ma a Lapenna va in municipio a riferire l’esito della riunione di ieri. Nella sede di piazza del Popolo si sono confrontati Nicola Della Gatta (Pd), Sante Cianci (Sel), Marco Del Bonifro (Idv), Luigi Marcello (Gs) e Paola Cianci (Prc). Hanno trovato una linea unitaria. Stamani riferiranno al sindaco. Poi la decisione toccherà a lui. Sabato scorso Lapenna ha escluso un cambio di maggioranza, soprattutto perché nella coalizione che lo sostiene ci sono forti resistenze all’ingressso dei centristi. Stante questa situazione, le soluzioni sono due: andare avanti e trattare di volta in volta l’appoggio del Psi nell’aula consiliare, oppure dimettersi, rimettendo palla al centro. In quel caso, i partiti avrebbero 20 giorni per cercare un accordo in extremis. Altrimenti si tornerebbe al voto.