Lo vedi spiegare il ciclo di produzione del miele e ti sembra un veterano dell’apicultura, quasi si occupasse di quello anche “prima”, fuori dal carcere. “Macchè, ho imparato tutto qui”, dice Vito, 34 anni, in carcere dal 1999 e con ancora 5 anni da trascorrere nella struttura di Torre Sinello. “Il corso da apicoltore l’ho fatto 4 anni fa. Ma ho fatto anche quello da elettricista, giardinaggio. Ho cambiato diversi lavori qui dentro. Sono passato diverse volte tra il depuratore e l’azienda agricola, una volta anche in una esterna. Ora lavoro alle serre e come apicoltore con la cooperativa Pan”.
Anche Vito è uno dei detenuti dell’istituo di reclusione vastese che può svolgere attività lavorative grazie all’articolo 21. “Lavorare è una cosa positiva. Mi sento utile e così posso dare una mano alla famiglia con la paga del lavoro. E’ importante anche a livello psicologico”. Cita le statistiche che dicono che il 90% “dei detenuti che lavorano con l’articolo 21 poi non rientrano più in carcere”.
Per lui il lavoro è anche l’opportunità di “conoscere gente diversa. Anche se solo nel giardino che è a pochi metri dal cancello, uscire da queste mura di cinta, avere un contatto con la natura, con la gente, è davvero importante”. Vito ha presentato domanda per poter andare a lavorare in un’azienda che produce miele in un paese del Vastese. Nei suoi occhi si legge la speranza che questa domanda venga accolta, per poter dimostrare il suo cambiamento e la sua voglia di ripartire.
“Quando sono entrato non vedevo la luce. Ma lavorare mi ha ridato la speranza. La maggior parte delle persone che sono qui dentro sono poveri cristi. E’ gente che ha commesso reati perché ci si è trovata, per disperazione, o perché sono tossicodipendenti che hanno rubato o commesso altri atti per comprare la droga. Può capitare a tutti, no?” Poi ci ripensa, mi guarda e dice con un sorriso: “Beh, ovviamente a te non capita!” Una risata è il congedo dalla nostra chiacchierata. “Ora ho maggior serenità”.