Michele Cassano, 40enne vastese, ideatore, costruttore, skipper di My Way 60, o più semplicemente un “lupo di mare” che sta vivendo il sogno di una vita. Salpato il 9 settembre dal porto di Punta Penna con il suo equipaggio, ha raggiunto nei giorni scorsi Las Palmas, nelle Canarie. Prima di tornare lì, da dove il 25 partirà la regata oceanica Arc, è tornato per qualche giorno a casa (questa volta in aereo!) per stare con la sua famiglia. Lo abbiamo incontrato per una piacevole chiacchierata, che ovviamente si è svolta in barca, grazie all’ospitalità di Nicola Crugnale.
Com’è andata questa prima parte di viaggio?
E’ stata un’esperienza bella, forte, che ci ha insegnato sicuramente tante cose. Sono contento che la barca sia arrivata a Las Palmas, a Gran Canaria, perché era una bella impresa già arrivarci. Poi è arrivata in perfetto stato, senza un graffio, quindi significa che è stata condotta bene. Per quanto riguarda la navigazione My Way si è comportata benissimo, ci ha dimostrato grandi velocità e anche l’equipaggio è rimasto esterrefatto delle velocità e delle potenzialità che poteva avere e anche delle caratteristiche di sicurezza. Abbiamo preso del brutto tempo a Crotone e la meraviglia è stata che con 40 nodi di vento la caffettiera è rimasta in piedi sul fornello. Dovendo analizzare a mente fredda le decisioni che sono state prese dal punto di vista tecnico rifarei le stesse cose, ad esempio nelle scelte metereologiche o nella gestione dell’equipaggio. E’ un’impresa a 360 gradi, che ha un lato tecnico ma anche un lato umano, dovendo gestire turni, che sono faticosi, e anche nel favorire la convivenza di persone che devono vivere insieme per tanti giorni. Le scelte devono essere sempre giuste, perché l’equipaggio si fida di te fino a quando le cose vanno bene.
Era il primo test “importante” per My Way. Sarà necessario fare delle modifiche per affrontare la regata?
La barca era stata preparato molto bene, abbiamo lavorato tantissimo, pensando a tutto quello che si poteva rompere e alla fine tutto è andato bene. Di rotture non ne abbiamo avute e penso che non modificheremo niente. A Gran Canaria ricontrolleremo tutto ma seguendo quella linea perché è andata benissimo.
Il passaggio dello stretto di Gibiliterra rappresenta sempre un momento importante per la navigazione.
E’ un punto importante, il punto che segna la fine del Mediterraneo e l’inizio dell’Atlantico.P erò non è solo un punto sulla carta. Noi l’abbiamo affrontato in una situazione in cui, per una differenza di temperature tra il Mediterraneo e l’Atlantico, si crea una nebbia fittissima. Siamo passati a 0.7 miglia di fianco ad una nave di 300 metri che non si vedeva. Eravamo affidati solo al radar. Sentivamo il sonoro della nave, che suonava, e di tante altre, ma non capivamo. Senza radar la navigazione è a rischio. Nello stretto di Gibilterra c’è un traffico in uscita e in entrata che non è facile da immaginare, ci sono tantissime petroliere e navi enormi. I problemi non sono tanto quando la nave ce l’hai di fronte, ma quando ti sopraggiunge, perché più si avvicina, molto più veloce di te, più sembra la lotta gatto e topo, in cui devi essere posizionato bene per evitare guai. Altra difficoltà è stata una corrente contraria di 5 nodi. La barca faceva la scia e avanzava però vedevamo anche velocità anche sotto il nodo. Lo stretto ce lo siamo sudati. Poi abbiamo scapolato l’Africa e ci siamo tolti dalla corrente. Poi, quando pensi che sia passato tutto c’è l’Atlantico. Il mare ci ha regalato tantissime emozioni, anche quelle di pescare tonni o altri grandi pesci o avvistare balene. Le nostre giornate iniziavano con l’alba e finivano col tramonto. Anche il turno di notte è molto lungo e non vedi l’ora di vedere la luce del sole.
Hai lasciato la tua barca lì. Sei preoccupato?
Sapevamo già di doverla lasciare per qualche giorno. Prima partire abbiamo lavorato due giorni per lasciarla in buono stato. Lì alle Canarie c’è un’escursione di marea di quasi due metri. Anche nella regolazione delle cime abbiamo dovuto ponderare bene questa situazione. Poi è sistemata come al solito, pronta per tutto. Poi arrivare al porto di Vasto e non vederla dove era sempre ormeggiata mi ha fatto davvero realizzare cosa stiamo facendo.
Durante la navigazione avete fatto anche incontri con altri marinai.
Abbiamo incontrato una barca da pesca che ci ha visto determinati e ci ha chiesto un po’ della nostra avventura. E’ stato bello anche il rapporto che si è creato con altre barche che abbiamo incontrato nei porti. Poi, avvicinandoci alle Canarie, si incontra gente che viaggia molto, si trovano barche molto attrezzate, con pannelli solari impianti eolici, generatori. Barche a volte anche goffe ma attrezzate per tutto. Trovi anche la moglie e marito che hanno deciso di staccare per un po’ e sono partiti.
Com’è stato affrontare l’Oceano?
La navigazione in Oceano è stata molto bella. Nelle ultime 500 miglia, verso Casablanca, abbiamo incontrato vento portante che ci ha spinto. Era un inizio di Aliseo, di 25-30 nodi. L’onda è abbastanza alta, quando il mare è buono sarà di due metri, cosa che fa rollare non poco la barca. Ma quando l’onda ti raggiunge la poppa, ti solleva, ti inclina anche di 30 gradi, guardi dietro e dici: “sì ci sono venuto per questo, ho fatto tanta strada per vedere questa cosa“.
Hai il compito di gestire l’equipaggio. In una navigazione così lunga richiede molto equilibrio.
La gestione dell’equipaggio ha le sue difficoltà, perché ci sono turni serrati, bisogna dormire, mangiare, essere attivi , riposarsi. Ogni due ore ti devi svegliare. Spesso, quando mi mettevo in cuccetta, mi svegliavo dopo poco, perché nel sonno mi sembrava che la barca avesse problemi, invece era tutto a posto. Ci sono poi degli episodi che richiedono l’unione perfetta. A Trapani abbiamo aspettato che facesse giorno per entrare in porto. Mentre stavamo entrando, una barca di pescatori tira su la rete che si incaglia nella nostra elica. Subito i due pescatori si sono avvicinati a noi , hanno parlottato e uno ha detto “taglia, taglia”. Noi ci siamo guardati e ci siamo detti “quale pescatore taglierebbe la rete sapendo di aver ragione?” Abbiamo subito capito che l’immediato futuro per noi presentava qualche problema. Mentre decidevamo sul da farsi il motore di My Way si è spento, con una forte corrente che ci portava verso gli scogli. Ho visto nero, ho visto la fine del sogno con la barca sugli scogli. Però una parte di me, quella del navigatore, ha reagito. Sono andato all’ancora e sono riuscito a gettarla in mare. Solo quando la barca si è arrestata e abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Poi Angelo è andato giù con le bombole, con difficoltà, con la stanchezza di 400miglia di navigazione. E’ risalito, ma l’elica non girava. Allora è tornato giù è ho l’immagine di lui che risale con il coltello verso l’alto in segno di vittoria. Questo ci ha fatto capire che le cose capitano ma bisogna gestirle una per volta. Il mare va rispettato perché siamo piccoli e stare attentissimi.
Ora c’è da organizzare l’equipaggio per la regata Arc.
Rispetto alla prima parte siamo confermati io ed Angelo. Poi ci saranno altri 4 componenti, con cui ho già regatato diverse volte. La partenza è fissata per il 25 novembre ma saremo lì diversi giorni prima per ricontrollare nuovamente tutto in vista della regata. Nei primi giorni di novembre inizieranno i controlli del comitato, che verificherà tutte le dotazioni di sicurezza. Noi siamo a posto ma con gli inglesi, che sono estremamente fiscali, può esserci sempre qualcosa da cambiare. Le potenzialità della barca sono elevate. Ma più che con lo spirito della competizione mi approccio con quello del navigatore. Voglio arrivare e voglio farlo con My Way intatta. Questo è il primo obiettivo. Poi è chiaro che saremo in gara e spingeremo la barca al massimo per vedere dove ci può portare.