Ha lavorato con Michele Cassano negli ultimi mesi per preparare My Way 60. E’ salito in barca con lui il 9 settembre e ora tornerà a Las Palmas per prendere parte alla regata Arc. E’ il dottor Angelo D’Ugo, pronto a vivere questa nuova avventura emozionante.
Quando partirà la regata oceanica insieme allo skipper ci sarai anche tu. Come stai vivendo questa esperienza?
Michele mi ha trasmesso il suo sogno e per quello che posso cerco di farlo mio. Sicuramente sono e sarò al suo fianco finchè mi permetterà di esserlo. Ho avuto occasione di conoscerlo a terra e ho imparato a stimarlo. Non ci sono parole per descrivere quello che è il mio comandante sulla barca. Ha dimostrato perizia, abilità, ha dimostrato di sapersela cavare in situazioni difficili. Ma ho imparato a conoscerlo anche nell’umiltà di fermarsi a guardare un tramonto, un’alba, i delfini, le balene. Mi sta regalando delle sensazioni e delle emozioni e non finirò mai di ringraziarlo.
Com’è la vita sulla barca?
La barca è lunga 18 metri ed è grande, enorme. Ma quando si passano lì notti, mattine, pomeriggi, beh, diventa un po’ più piccola. Se non ci unisce lo stesso spirito, se non abbiamo un punto di riferimento, può diventare insopportabile. Lui ci è stato d’esempio sempre, non si è mai tirato indietro. Ha sempre fatto due turni, anche tre alcune volte, quando ci vedeva stanchi, provati. Non si è tirato indietro nel cucinare, nel lavare i piatti e questo per noi è stato di sprone. Sapevamo di affidare la vita, in tutti i sensi, ad un comandante che non ci ha mai deluso.
Da dove nasce questa passione per la barca a vela?
Diciamo che sono nato al mare e quindi mi è sempre piaciuto. Per quanto riguarda la vela sono così neofita che quasi mi vergogno a parlarne. Fino allo scorso novembre, quindi meno di un anno fa, non solo non avevo mai concepito la barca a vela, ma men che meno il pensare di trascorrere giorni, settimane, mesi su una barca a vela. Ho avuto la fortuna più grande che mi potesse capitare sotto questo punto di vista, nel conoscere lui che con tanta semplicità mi ha dimostrato quanto potesse essere bella la barca a vela. E adesso non saprei concepire nient’altro se non la barca a vela.
Pensando alla regata che dovrete affrontare come ti senti?
Michele mi ripete sempre “Angelo, siamo piccini, siamo piccoli”. Il mare bisogna amarlo, bisogna rispettarlo, mai sfidarlo. Ho timore, non ho panico. So che lui è preparatissimo e mi trasmette giorno per giorno un po’ della sua esperienza e io sento di crescere in questo. Vivo quello che è il mio prossimo futuro come un piccolo Cristoforo Colombo, però con la tecnologia che ti fa sapere in ogni istante ogni cosa riguardante la navigazione. Ma un giorno, ripeto sempre, io griderò “Terra” e il mio essere Cristoforo Colombo dirà “io ho scoperto l’America”.
Superare lo stretto di Gibilterra, le mitiche “Colonne d’Ercole”, quali emozioni ti ha fatto provare?
Io vengo da una cultura classica e lungo tutto l’arco dei miei studi ho sempre sentito parlare di queste Colonne d’Ercole e di grandi navigatori che le avevano superate non facendo ritorno o facendo ritorno pensando che ci fosse l’Ade, l’aldilà. Io, Angelo, grazie a Micky, ho superato le Colonne d’Ercole. Ho la testimonianza fotografica, io davvero ci sono stato e sono tornato. E’ davvero difficile parlarne. Anche uno come me, logorroico, non trova le parole per descrivere quello che è stato un sogno per tanti, grandi navigatori e per me è diventata realtà. Oltre quello stretto ci sono cose meravigliose.
Io ho sempre sentito parlare l’onda lunga ma, senza offese per l’Adriatico, quella dell’Oceano è davvero l’onda lunga, che si vede da lontano e si avvicina. E non è solo lunga, è grande. Se si ha l’umiltà, se si confida nella barca, se si sa che My Way è l’unico posto sicuro lo si vive con gioia, ci si sente abbracciati e cullati da quell’onda.
Dopo tanti giorni navigazione la terra ferma è necessità o è un qualcosa di superfluo?
Assolutamente un superfluo. Non ho dubbi nell’affermarlo. Ho segnato 723 miglia sul mio diario. Se pensiamo che la Croazia è a 80 miglia, e sembra tanto lontana, ci rendiamo conto di quanto siano quasi 750 miglia. Quando, dopo questa navigazione, ho visto la terra, ero felice perché era la meta, la prima grossa meta per noi. Ma non sono sceso, non sono saltato a terra, sono rimasto per ore sulla barca che era comunque, come la chiamavo io “casa mia”.
La regata che affronterete sarà un banco di prova importante. Se per Michele Cassano possiamo immaginarci già altre imprese in mare, per te cosa ci sarà?
Lui è giovane ed è giusto che continui a sognare. Io un po’ meno, alla mia veneranda età devo saper dosare me stesso e le mie forze. Per ora è ancora un grande, grandissimo sogno, quello di vedere l’America. Al resto ci penserò dopo.