Tebs Bogatsu, nato e cresciuto in Sudafrica, da 10 anni vive a Vasto, è sposato con Francesca Tammarazio, con due simpaticissimi figli, Thamie e Tau. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come un sudafricano sta vivendo questi giorni in cui Nelson Mandela, l’uomo che ha lottato per la fine dell’apartheid, si sta lentamente spegnendo. Le sue parole sono cariche di passione e di emozioni.
La fine dei giorni di Mandela è un dispiacere per tante persone, anche per i non sudafricani. Però nella nostra cultura viviamo il momento della morte in maniera diversa rispetto agli occidentali. Una volta mia moglie mi ha detto: voi sudafricani la morte la prendete più come un passaggio. Alla base di ogni persona ci sono le tradizioni del luogo in cui è nato, poi c’è chi le lascia indietro e chi le porta con sé. Io non vivo in Sudafrica da 12 anni ma le mie origini sono quelle. Questo momento, con Mandela che si avvia verso la conclusione dei suoi giorni, lo vivo con sensazioni contrastanti. Perdere qualcuno di caro ti fa provare molto dispiacere. Mandela non è un mio parente, ma ha dato molto al mio Paese. Ricordo le sue parole “Io morirò per le ragioni della gente e non c’è niente che mi potrete fare che potrà cambiare questo”. Quando è uscito dal carcere, invece di tirare fuori la rabbia per quello che aveva passato, disse chiaramente che non era con la rabbia che si sarebbero risolte le cose. Se il razzismo dei bianchi verso i neri non andava bene, non sarebbe stato giusto, con la democrazia, dire “adesso ti faccio vedere io”. Lui, con un pensiero illuminato, ha cercato di inculcare questo nella mente delle persone.
Ma, quando arriverà la sua morte, sarà anche un momento di gioia. Nella tradizione del Sudafrica, c’è un momento del funerale che si chiama “After Tears”, dopo le lacrime. Dopo il cimitero si va a casa del defunto, si sta con la famiglia, i parenti e alla fine diventa quasi una sorta di festa per ricordare la persona cara. Il fatto di perdere qualcuno che è a te caro provi un sacco di dispiacere ma bisogna anche analizzare tutto quello che ha fatto.
Eri in Sudafrica quando c’era l’apartheid. Hai vissuto situazioni di discrimazione?
Non l’ho vissuto in prima persona, in quegli anni c’erano tanti problemi ma io ho frequentato la scuola delle suore. Le maestre, le suore erano bianche. Io sono metodista ma ho avuto un’educazione cattolica in quella scuola, ogni venerdì la mattina c’era la messa prima delle lezioni. Io l’ho vissuto dall’esterno, vedendo le cose che succedevano attorno, ma mai sulla mia pelle. Mio fratello, invece, che ha 10 anni più di me, aveva tanta rabbia. Lui frequentava una delle scuole che nel 1976 sono state al centro della rivolta dei giovani, mia madre ha dovuto spostarlo di istituto. Era preoccupata perché gli studenti lanciavano le pietre e i poliziotti rispondevano con le pistole. Lui più di me aveva tutta questa rabbia.
Finchè uno non vive una determinata situazione non può capire come ci si sente. Io non ho mai dovuto confrontarmi con situazioni del genere, forse mi toccava per un 10%. Anche dopo la fine dell’apartheid non ho avuto particolari problemi, a Pretoria la situazione era più accentuata perché gli africans (i bianchi discendenti dei coloni) erano ancora ostili verso i neri. La rabbia di mio fratello si è affievolita anche con il confronto con mia moglie. Vanno molto d’accordo e questa cosa lo ha certamente aiutato. Forse per alcuni ci sono ancora problemi. Il paradosso è che sono gli africans che hanno ancora questo odio, quindi anche se tu vuoi andare avanti e dimenticare tutto quello che hai passato, c’è questa minoranza che ha ancora idee di razzismo. Purtroppo su alcune cose non si può fare niente.
E ora che situazione c’è?
Posso rispondere da persona che non è residente da molti anni in Sudafrica ma che comunque ogni anno riesce ad andare per 2-3 settimane. Adesso c’è molta litigiosità, anche all’interno della stessa ANC. Anche mia madre, che ha sempre parteggiato per l’ANC, è molto critica, vedo che non è d’accordo a come si comportano, ci sono molte situazioni spiacevoli.
Non si può pensare ancora di far ricadere le cose sulla figura di Mandela. Bisogna lasciarlo tranquillo e lasciarlo andare, se è arrivata la sua ora. Lui tutto quello che poteva fare l’ha fatto, ha creato una base su cui bisogna costruire. Se chi governa ora ha imparato un minimo da lui deve poter andare avanti da solo.
In tuo post su Instagram hai scritto che grazie a Mandela sei orgoglioso di essere sudafricano.
Mi ha dato l’orgoglio che anche davanti alla morte non si è fatto mai sottomettere. Da lui, e ovviamente dalla scuola che ho frequentato, dall’educazione ricevuta, ho preso il mio carattere, che mi porta al non voler subire ingiustizie. Sono così, anche oggi nel mio lavoro. Per questo dico che chi governa per far andare avanti il Paese deve ricordare cosa ha fatto Mandela. Chi ha sostenuto il movimento con lui oggi è al comando. Devono saper camminare da soli e se arrivano ad un ostacolo, pensare a come l’avrebbe affrontato lui e devi farlo. Ormai lui non può fare niente. Dobbiamo essere tutti orgogliosi di Nelson Mandela.
Hai due figli piccoli. Gli hai raccontato di Nelson Mandela?
Il mio primo figlio, Thamie Niccolò, è nato il suo stesso giorno. Glielo abbiamo sempre raccontato, spiegandoli cosa ha fatto nella sua vita. Sono cose che se non si tramandano di generazione in generazione si perdono. E così cerco di trasmettere ai miei figli un modo di vivere generoso, riconoscendo chi è più in difficoltà e condividendo quel poco che si può. E’ l’educazione che ho ricevuto a farmi essere così. Credo che i bambini del Sudafrica riescano ad apprezzare molto di più ciò che ricevono. Ecco perché sono contento se Mandela è sereno e pronto per questo altro passo della sua vita. Questo ho preso da lui, la voglia di cambiare anche le piccole cose. Lui ha fatto le grandi cose, io posso fare le piccole. E da lì si può migliorare il mondo.