Arrivato come tanti, a soli 17 anni su un barcone, Mamadou Coulibaly dal Senegal, in cerca di un modo di sopravvivere. Il coraggio di affrontare la possibilità concreta di morire dentro un mare in tempesta. La disperazione dei genitori… Poi i vari centri di accoglienza, lui, un minore non accompagnato. Prima in Francia, successivamente in Italia: Livorno, Roma, Roseto e Pescara. Ad accoglierlo stabilmente è l’Abruzzo nella casa famiglia di Montepagano, a Roseto degli Abruzzi, che accolse anche un certo Babacar. E tutto sembra ripetersi.
Inizia a giocare a calcio, sebbene con tantissimi ostacoli, perché poteva farlo solo in una squadra amatoriale mentre guardava le partite “vere”dagli spalti, non poteva essere tesserato, perché non aveva genitori che potessero, come da regolamento, firmare il cartellino che gli permettesse di partecipare al campionato giovanile. Una fitta e solidale campagna di articoli giornalistici, convinse i vertici regionali e nazionali della federazione calcio a dare il placet per farlo giocare.
Una storia di riscatto sociale, la sua, che oggi lo vede inserito in serie A come centrocampista. Proprio lui che aveva dormito all’aperto e viaggiato attraversando un mare senza orizzonti, così la ‘sorte’ ha scelto per lui.
Attualmente gioca con il Pescara calcio, lungimirante nella scelta, perché nonostante le richieste dalla Fiorentina lo ha tenuto tra i ‘suoi’.
Tra i commenti tecnici la somiglianza con Pogba, mentre il suo idolo resta Yaya Toure del Manchester City…
Con i primi soldi guadagnati, ha scelto di ‘aiutare i suoi e comprare una casa’.
Ai ragazzi italiani, una domanda che nasce dalla riflessione di un noto giornalista Rai:
“quando, a breve, questo ragazzo sarà ricco e famoso, ci sarà ancora qualcuno che lo vedrà come un nemico?”. O diventerà inevitabilmente il simbolo di una vita di successo?
Ecco dovrebbe essere data a tutti non solo una prima ma anche una seconda possibilità.
L’augurio a lui, di un percorso di successi e quella serenità rincorsa a rischio della propria vita.