Torino. Durante l’intervallo scolastico a scuola, due ragazzi tentano di denudare un loro compagno disabile dopo averlo portato in fondo ad un corridoio. Un’ insegnante si rende conto che quanto sta accadendo e si avvicina. Li ferma obbligandoli a spiegarsi. I due ragazzi, riconoscono di essere gli artefici di quello che ritengono solo un “gioco” che dura già da qualche giorno, confessano. La Prof., decide per una azione disciplinare, una nota sul diario.
Nasce così un vero “caso”. I due ragazzi in questione, sono figli di docenti che insegnano nello stesso Istituto scolastico e che alla educazione dei loro figli prediligono la ‘reputazione’ e non sono disposti a subire un danno di immagine; in fondo “era solo un gioco”.
Si rivolgono al Preside. Lo stesso decide di convocare tutta la classe in palestra e poiché l’incresciosa situazione si era svolta durante l’intervallo, come azione disciplinare annulla la gita scolastica annuale in una sorta di punizione collettiva. Nessun riferimento al bullismo e nessuna azione rivolta ai protagonisti del ‘gioco’. La professoressa che ha vissuto in prima persona l’accaduto è incredula. La sua delusione più grande? La rinuncia ad educare.
Mentre i Media con successo propongono ‘nuovi modelli’ partendo dai messaggi delle Paralimpiadi, dove Beatrice Vio e Alex Zanardi per primi scommettono sulla positività delle loro vite, sulla gioia da comunicare come messaggio di un “si può fare” che va oltre steccati e barriere mentali, annullando quelle fisiche, siamo ancora combattere omertà e pregiudizio.
Abbiamo bisogno di far cadere il muro del silenzio, di personale qualificato e ‘qualificante’. Di una formazione che abbracci nuove tecnologie senza dimenticare la parte umana, quella che non ‘stra-vince’ , che costruisca sicurezze negli allievi. Una scuola che si adoperi nell’ abbassare i livelli di conflittualità e di competizione, che creda nell’istruzione e nell’educazione emotiva.
Di esempi e regole che siano valide per tutti, scuola-famiglia-allievi, per crescere dentro rispetto e accoglienza. Privilegiando le fragilità, oggi più che mai motivo di condivisione e di crescita e di esempio alla “cura dell’altro”.