Nel seguente articolo faremo qualche breve considerazione sui recenti andamenti del mercato obbligazionario e vedremo quali società applicano ai risparmiatori commissioni sui propri fondi di investimento eccessive e spesso ingiustificate.
Nell’ultimo articolo di aprile avevamo descritto il potenziale rischio di comprare e/o detenere obbligazioni a tasso fisso in questo particolare momento storico (dopo anni di rialzi dei prezzi delle obbligazioni), rischio che nelle ultime settimane si è puntualmente manifestato. Un rialzo inaspettato e repentino (le cui cause non andremo ad analizzare in questo scritto per ragioni di brevità) dei tassi di interesse sul mercato obbligazionario (il BTP a 10 anni ha visto salire il suo rendimento da un 1,3% a livelli vicino al 2% in pochi giorni) ha portato a ribassi consistenti sui prezzi delle obbligazioni a reddito fisso, in particolare su quelle a media e lunga scadenza. Se il mio ultimo articolo non fosse stato chiaro a qualcuno basterebbe dunque andare a vedere la storia delle ultime settimane sui mercati obbligazionari per togliersi tutti i dubbi.
Tra le possibili soluzioni per contenere e/o eliminare tale rischio (tecnicamente definito di tasso di interesse) avevamo citato il ricorso a fondi di investimento obbligazionari evoluti. Molte sono le società e le banche che offrono fondi di investimento, poche offrono questi fondi evoluti, molte invece offrono prodotti tradizionali e con commissioni eccessive. Per potersi orientare tra le tante proposte spieghiamo brevemente come funziona un fondo e quali commissioni vengono applicate. Acquistando quote di un fondo di investimento un investitore affida del danaro ad un team di esperti che selezionano con cura (a loro parere) i migliori asset finanziari in cui investire (obbligazioni se si è deciso di investire in obbligazioni, azioni, asset immobiliari ecc.). Si compra, potremmo dire, un pezzo di una scatola il cui contenuto viene selezionato con cura per poter generare il maggior livello di rendimento rispetto al livello di rischio che si è disposti a correre. Questo attento lavoro di selezione viene remunerato dall’investitore con una commissione annuale, chiamata di management fee, che rappresenta una percentuale del totale del danaro investito (varia in base alla tipologia e alla società del fondo e può arrivare fino al 2% e più). Tuttavia, in molti casi, gli intermediari possono far pagare, una tantum, anche una commissione di ingresso (front fee), a volte anche oltre il 5%, al momento della sottoscrizione del fondo e, peggio ancora, una commissione di performance annuale, cioè una percentuale del “presunto guadagno” del fondo. Quest’ultima, in particolare, è assai subdola (e anche vietata dalle normative italiane che però si cerca di aggirare con la domiciliazione internazionale dei fondi) nella maniera in cui viene calcolata, facendo pagare, in certi casi, anche quando il fondo non ha guadagnato nulla, ma anzi ha perso dei soldi. Come apparso di recente (e non) su importanti organi di stampa nazionali e come facilmente riscontrabile dai bilanci ufficialmente pubblicati, società come Mediolanum, Banca Generali ed Azimut fanno gran parte dei propri profitti attraverso queste commissioni di performance. Ne parleremo con dettaglio nel prossimo articolo…
Alberto Marracino
Consulente finanziario
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