“E così avete deciso di andarvene, infine…”
La voce che scaturì all’improvviso nel buio intorno a me mi fece sussultare. Era notte fonda, la luna era coperta da spesse nubi che ne ottenebravano la luce; in quel buio fitto riuscivano a nascondersi anche i primi esili alberi della foresta, abbastanza numerosi per non costituire più una radura ma non tanti da essere già boscaglia. In quella terra di nessuno, perfino gli uccelli notturni rispettavano la regola del silenzio, quasi fossero stati anch’essi inglobati nel mare di pece che aveva avvolto ogni cosa.
Il mio trasalimento durò solo un istante, però: riconobbi subito quella voce, divenutami così familiare durante il mio soggiorno laggiù.
Proveniva dalla mia destra, non molte yarde in là; mi voltai verso quella direzione e vidi una sagoma che si avvicinava lentamente, a passi grevi.
“Mio buon amico…” lo salutai.
“Uno che fugge nel buio rischia di essere considerato uno strano genere di amico, non credete?” fu la risposta.
Mi si strinse il cuore, ma non era la paura.
Ebbi cura di scegliere bene la mia risposta; dopo diversi tentativi, però, alla fine prevalse l’istinto.
“Worth, voi sapete che questo non è il mio posto: non posso restare quaggiù! Il mio posto… ho una casa, dei famigliari che mi aspettano… Devo tornare laggiù”
Worth caracollò la sua testa da un lato e dall’altro, almeno così mi parve di vedere attraverso l’oscurità che ci attanagliava.
Rispose: “Una famiglia? Una casa? Non li avevate forse anche quando decideste di partire, mosso da un irrefrenabile impulso, stando ai vostri racconti?”
Era un colpo basso e lo sapevamo entrambi, ma le ragioni che lo avevano mosso erano tutto fuorché malevole.
“È tempo che concluda il mio viaggio, Worth. Non vi ho mai mentito su di esso né sulle ragioni che mi portarono ad affrontarlo… né tantomeno sulla sincerità della amicizia che mi ha legato a voi sin da quando posi piede in questo posto”
Queste mie parole rimasero sospese fra di noi per un tempo indefinito, durante il quale le fitte nel mio petto crescevano ad ogni respiro.
Mi spostai di un passo verso di lui, che se ne stava ora immobile a capo chino, arbusto scuro tra gli arbusti scuri al limitare della macchia.
“È ora che arrivi alla fine del mio percorso ed essa non può che coincidere con l’inizio se voglio che il tutto sia completo. Voi questo lo capite, ne sono certo… Voi lo sapete”
Attesi una risposta per lunghi istanti, inutilmente.
Worth si ritirò nella vegetazione, silenzioso come era arrivato, passando attraverso le ombre degli alberi e dei primi rami bassi e sparì per sempre alla mia vista.
Un attimo dopo che era svanito, alcuni nembi scivolarono lentamente davanti agli altri e lasciarono aprirsi uno spiraglio attraverso cui la luna proiettò nella vallata un breve bagliore biancastro. Mi bloccai all’istante, temendo di venire avvistato da guardiani in realtà assenti, e lo sguardo venne attirato da qualcosa che stava proprio nel punto da cui Worth mi aveva parlato pochi istanti prima. Mi avvicinai con cautela, stringendo le palpebre per mettere meglio a fuoco l’immagine, fino a che, giunto sul posto, lo vidi.
Era lì, innaturalmente solo, adagiato in una posa che la natura non avrebbe certo potuto generare, con la testa appena inchinata e il gambo flesso, come in un saluto.
Era un bellissimo narciso giallo.
Non rammento quanto stetti lì a guardarlo, avvolto da brividi di emozioni che faticavo a tenere a freno; ero certo che fosse il saluto che Worth non aveva saputo esprimermi a voce e, sulle prime, pensai di portarlo via con me, unico ricordo tangibile del mio viaggio e dell’amico che avevo lasciato laggiù.
Poi, d’un tratto, mi vennero alla mente dei versi di un poeta che parlavano proprio di quel fiore:
“they flash upon that inward eye
which is the bliss of solitude;
and then my heart with pleasure fills,
and dances with the daffodils”
Diedi allora un ultimo sguardo alla radura e poi al narciso; per suo tramite salutai in silenzio l’amico che me l’aveva donato e mi avviavi nuovamente verso la foresta, lasciando il fiore nel posto in cui Worth lo aveva adagiato.
Per essere una fuga, la mia era ben strana: non solo abbandonavo il luogo del mio internamento senza che nessun guardiano mi ostacolasse e avendo deciso io quando e come; soprattutto, in modo del tutto anomalo, me ne andavo con il cuore gonfio di malinconia.
Anzi: quanto più mi avvicinavo alla mia libertà, tanto più la mestizia traboccava dall’interno della mia anima.
Ero ormai sempre più prossimo alla fine del mio viaggio e, a mano a mano che questa si avvicinava, richiamava alla mente il suo naturale opposto – il suo inizio – e il mio peregrinare in quella selva fece sì che ogni singolo istante vissuto in quel Paese stravagante trovasse a poco a poco il suo posto in una forma fatta di cerchi concentrici, incastonati gli uni sugli altri come nella piramide dantesca del Purgatorio.
In cima ad essi, ripercorrendoli tutti uno ad uno, trovai da ultimo il più recente e il più caro: l’amicizia di Worth, nata nel giorno stesso del mio arrivo da galeotto nella colonia penale di Free Meadows.
Leggi qui la puntata precedente | Appuntamento alla prossima puntata con “Lo strabiliante viaggio di Anthony B. Elliott”].
Per acquistare l’intero romanzo su Lulu.com, clicca qui
Elio Bucciantonio è nato a Chieti nel giugno 1967. Ingegnere gestionale, attualmente consulente, vive in Abruzzo, a San Salvo (CH), dove ha scritto la raccolta poetica “Settembre” (Ed. Cannarsa, 1993) e il romanzo “Il mondo perfetto” (Ed. Cannarsa, 2008).