L’appuntamento è per le 9 di mattina davanti al suo negozio in via Marchesani. Io e Costanzo abbiamo approfittato della mattina soleggiata per fare qualche scatto in un centro storico che lentamente si risveglia per presentarci puntuali all’appuntamento. Lui, Giuseppe Fiore, arriva davanti al suo negozio di calzature e sorridendo ci dice: “Ho giocato tante partite di calcio e questa notte ho avuto la stessa emozione che avevo prima di scendere in campo”. Una persona genuina, vastese doc. Mentre alza la saracinesca, un gesto che ha ripetuto migliaia di volte nella sua vita, inizia a raccontare e noi capiamo subito che potremmo restare lì per ore ad ascoltarlo. Indica l’edificio di fronte e ci dice. “Io sono nato lì, al secondo piano. E sotto c’era il negozio di scarpe, prima di mia nonna, poi di mia madre ed ora ci sono io”. Giuseppe Fiore, Peppino per tutti, ha anche una grande autoironia. Infatti entrando nel negozio ci dice. “Qui c’è una lapide dedicata a Marchesani, un grande poeta, uno che ragionava con la testa. Quando non ci sarò più dovranno mettere una lapide che dice: Qui è nato Peppino Fiore, uno che ragionava con i piedi“. In effetti i piedi sono al centro della vita di Peppino Fiore. Che, oltre ad essere un venditore di scarpe, è stato una bandiera della Vastese Calcio. E così le storie da raccontare diventano due. “Il primo campionato l’ho disputato con la Fiamma, la squadra del Movimento Sociale, nel 1949-50. Poi mi acquistò la Vastese, dove ho giocato per nove anni. Ero un mediano. Io in realtà volevo fare il centravanti, ma poi l’allenatore Genta, giocatore del Genoa e della nazionale, decise che dovevo giocare mediano”.
Prima di arrivare ai campi “veri”, ci sono gli esordi in mezzo alla strada. “Dove ora c’è il Comune – racconta Peppino – c’era un arco e noi giocavamo lì. La prima partita in assoluto però la ricordo bene. La giocai a Mafalda, dove ero andato con la famiglia durante il periodo della guerra”. Si parla della permanenza a Mafalda e, neanche a farlo apposta, ci sono personaggi che anche Costanzo, vista la sua provenienza molisana (anche se con qualche anno in meno), ricorda bene. L’emozione di Peppino Fiore è passata e il clima è quello di una chiacchierata tra amici. “Abbiamo fatto questa squadra, tra ragazzi di Vasto e Termoli, per giocare contro i ragazzi di Dogliola. Vincemmo noi che eravamo un po’ più bravi. Vedete, se fossi diventato un grande calciatore avrei dovuto raccontare che la prima partita l’avevo giocata a Mafalda!” L’esperienza con la Vastese è di quelle indimenticabili, anche perchè la famiglia Fiore ha contribuito in maniera sostanziosa allo sport biancorosso. “C’ero io, Fiore I, e poi venne mio fratello, Fiore II. Ora c’è Nicola Fiore, che è un nostro nipote (non di primo grado). E poi abbiamo avuto Alberto, che è stato anche presidente del Chieti. Sia lui che il figlio hanno giocato. Pietro Palazzo, mio cognato, ha giocato. La figlia Francesca e il marito Peppe si sono fatti valere nella pallavolo. E oggi anche loro figlio Antonio gioca”.
Dai cassetti iniziano a venire fuori foto del tempo, ritagli di giornale, pubblicazioni. Ognuna ha un ricordo, con aneddoti di un calcio difficile da immaginare. Peppino è orgoglioso nel mostrarsi con la fascia da capitano. “Quando mi hanno ingaggiato mi davano 5mila lire al mese. Nella prima grande vittoria a Lanciano ci diedero un premio di 9mila lire. Questo per dire quanta rivalità c’era”. Ha giocato fino al 1959. “Ma poi, all’inizio del campionato successivo, mi hanno richiamato per fare l’allenatore. Sono rimasto per qualche mese. Se andate a guardare l’almanacco ci sono. Poi mi hanno chiamato anche a Termoli per allenare, ma non sono andato. Però negli anni dopo mi chiamavano nei tornei cittadini per rinforzare le varie squadre. E io andavo volentieri”.
Il calcio e il negozio. La mattina nell’attività di famiglia e il pomeriggio in campo. “E pensare che all’inizio mia nonna vendeva generi alimentari. Per una serie di coincidenze rocambolesche decise di vendere le scarpe. Ed eccoci ancora qui”. Un negozio che negli anni è diventato un punto ritrovo per tanti amici. E infatti mentre siamo lì a farci raccontare la sua storia, ecco che arriva Francesco Paolo Vitelli, che conosce bene tutte le avventure in campo di Peppino Fiore. E così, tra un racconto e un altro, si arriva a parlare del negozio di calzature. Non prima di essere rimasti a bocca aperta quando ci rivela la sua data di nascita. “Non ve lo dico – ci dice prima con una risata -. Quando vado in banca non ci credono: 31-3-’31“. 82 anni. E chi l’avrebbe detto? Si torna all’orgine del negozio. “Mia nonna aveva il negozio di alimentari dove ora c’è il fotografo Di Memmo. In seguito ad un episodio arrivò questa decisione di vendere le calzature, anche se nessuno le aveva mai vendute. Il primo fornitore, di Lanciano, aveva calzature, pellame, busti per le donne”. E qui parte subito un altro aneddoto. “Io e mio fratello li abbiamo sempre conservati e a Carnevale ci vestivamo. Io ero la prima donna e lui faceva la damigella”. Impossibile non restare contagiati dalla sua ironia. “Poi ci trasferimmo nella casa di fronte”. Peppino si fa serio quando racconta del fratello morto a 18 anni, durante il dopoguerra. “Mio fratello prese la malaria, che si tramutò in meningite. In quegli anni prese i ragazzi da 16 a 18 anni. Ci furono almeno 6-7 del gruppo di amici storici a perdere la vita per questa malattia”. La famiglia Fiore si divise in due rami di venditori di calzature. “Mia madre restò qui, la sorella prima era qui vicino, poi si spostò in corso Plebiscito. Ed oggi c’è mio nipote Franco. Lui è Menna Store, qui c’è la story“. Una vita nel negozio. “Mia moglie insiste sempre che devo chiudere. Però qui è un luogo d’incontro anche per gli amici e i parenti. Non vengono più a casa ma qui. Quasi quasi mi organizzo con caffè e pasticcini per accoglierli”.
Improvvisamene Peppino si ferma e dice: “Ma non vi ho raccontato l’episodio della partita col Celano!” Come non ascoltarlo con attenzione? “All’andata a Vasto il nostro portiere fece un’entrata durissima sul loro centravanti. Andammo in trasferta a Celano per il ritorno. Quando siamo arrivati avevamo molta paura. Con noi c’era un grande tifoso, mastro Pietro Mattioli. Quel furbo dell’allenatore gli diede la sacca e lo fece scendere dal bus. Non appena scese il primo gradino, venne preso per la gola e giù botte dai tifosi del Celano. Noi non volevamo scendere. Ma l’arbitro ci disse che ci avrebbe dato la partita persa. In campo vincevamo 1-0 e l’arbitro ci disse che doveva dare un rigore al Celano. Allora noi facemmo un falletto nella nostra area di rigore e finì 1-1, altrimenti non saremmo tornati a casa”. Di aneddoti su quegli anni di calcio ce ne sono davvero tanti, e insieme a Francesco Paolo ce ne raccontano di tutti i colori, con la sua risata che è davvero contagiosa. Staremmo qui davvero tante altre ore ad ascoltare i suoi racconti, ma dobbiamo andare. E gli chiedo: “Allora questo negozio resterà aperto ancora a lungo?”.
Lui, tra il serio e il faceto dice: “Quando inizierò a regalare la roba mi diranno questo non ci sta più. Però, davvero, ci sono dei clienti che ormai sono affezionati e per certe calzature classiche vengono sempre da me”. Prima di andare via, passiamo in rassegna i negozi storici di calzature vastesi, con una serie di soprannomi pronunciati in dialetto stretto. “C’erano Tenaglia, Vinciguerra, Marino, uno dei più belli del dopoguerra. Poi c’era mia madre, che era subentrata alla madre, mia zia”. La chicca la tira fuori proprio prima di salutarci. Le sue scarpe da calcio di quando era ragazzo. Sembrano ancora nuove. Il segno della passione di Peppino Fiore per il suo lavoro e per il calcio.
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo
Foto – Giuseppe Fiore, una vita tra scarpe e pallone
foto di Costanzo D’Angelo – Occhio Magico