Santo Stefano di Canastra, provincia di Messina. E’ qui che nel giorno di Capodanno del 1930 nasce Giuseppe Catania. Ottantaquattro anni, di cui 71 vissuti a Vasto, di cui si sente ormai cittadini a tutti gli effetti. Uno dei giorni che attende di più durante l’anno è il 24 gennaio, in cui si festeggia San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. E’ ormai una tradizione consolidata che la stampa cittadina, di cui lui è il presidente, si ritrovi per la messa a San Giuseppe e poi per un brindisi benaugurale. Quale migliore occasione per andarlo a trovare e farci raccontare la sua storia? E così ci infiliamo in via Pampani, centro storico della città e saliamo a casa sua. Costanzo ha pane per i suoi denti, perchè nel suo appartamento, in un palazzo del ’700, di cose da fotografare ce ne sono. Tanti quadri, donati da artisti per cui lui ha scritto articoli in occasione di esposizioni a Vasto e dintorni nel corso della lunga attività giornalistica. Attività iniziata quasi per caso nello studio dell’avvocato Fanghella, suo cognato. Peppino, come lo chiamano affettuosamente tutti, arriva con la sua famiglia, 5 fratelli e due sorelle, dalla lontana Sicilia. “Vivevo a Palermo, nel 1942 la città era sotto bombardamento e mio padre ci fece spostare a Marsala, dove lui prestava servizio come brigadiere della Finanza, perchè era più sicura. Nel febbraio del 1943 venne a trovarci la sorella di mia madre, che viveva a Vasto, perchè suo marito era il direttore del convitto con il ginnasio. La guerra era arrivata anche lì e mia zia si trovo proprio quando c’erano i bombardamenti. Ci propose di spostarci a Vasto, che era tranquilla e i miei genitori accettarono. E così, con mia madre e i 5 fratelli, siamo venuti qui”.
Peppino vide Vasto per la prima volta di sera e ricorda ancora quel momento. “Il treno arrivò in stazione, tutta illuminata. Il capotreno annunciò Istonio, stazione di Istonio. Sceso dal treno guardai verso l’alto e vidi la collina con le tante luci. Dissi: ma questo è un paese da sogno!”. Peccato che, dopo lo sbarco di Anzio, la guerra arrivò anche in Abruzzo. “Sembrava che ci seguisse, eravamo in mezzo ai bombardamenti anche a Vasto”. Ma ormai il trasferimento era stato fatto e dopo un po’ arrivò anche il padre. “Finita la guerra entrò nei vigili e fu assegnato al controllo del confine di Sant’Antonio abate, dove c’era traffico di contrabbandieri”. I tanti anni trascorsi sulle rive dell’adriatico non gli hanno fatto perdere una certa cadenza siciliana che si avverte quando lascia correre i ricordi. Ricordi legati ai tanti oggetti presenti nella casa, ai faldoni di documenti e giornali archiviati nel corso degli anni. Un materiale prezioso di memoria storica di una città e di un territorio, che meriterebbero di trovare spazio su tanti libri. Questo perchè tra Giuseppe Catania e il giornalismo c’è un legame che va avanti ormai dal 1954. “Andavo nello studio dell’avvocato Fanghella, che scriveva per Il Giornale d’Italia, e a volte mi chiedeva di aiutarlo perchè non aveva tempo. Dopo un po’, scrissi al direttore del giornale, proponendomi per scrivere e lui mi nominò vice corrispondente da Vasto”. Il primo incarico con un quotidiano fu quello con Il Tempo. “Il corrispondente dell’epoca era stato mandato via e il corrispondente della redazione di Chieti si rivolse a Giuseppe Pietrocola, suo amico, perchè lo aiutasse a trovare un giornalista. Lui, che leggeva i miei articoli, mi chiamò subito e così iniziai con Il Tempo.
Arrivò anche la passione per la ricerca storica e la città. “Scrivevo sull’Histonium, diretto da Espedito Ferrara, che era bibliotecario alla Casa Rossetti. Mi piaceva andare a trovarlo ed è lì che mi sono appassionato alla storia di Vasto, oltre a scrivere sul suo giornale”. Di giornali con cui ha collaborato ce ne sono tanti, alcuni lo vedono protagonista ancora oggi. Tutto minuziosamente archiviato, con qualche articolo a cui tiene certamente di più. Tra questi ce n’è uno legato agli avvenimenti più tragici della città. “Era l’agosto del 1956, l’anno della frana.Vincenzo Di Lanciano (dell’edicola in corso de Parma) diede una macchina fotografica a Francescopaolo Di Rosso e ci disse di andare a vedere cosa stava succedendo. Io rimasi su via Adriatica e lui scese sotto, per fare delle foto. In un attimo ci fu un boato e si alzo una grande nuvola di polvere, la terra franò. Ero certo che fosse morto lì sotto e invece lo vidi comparire tutto bianco. Era riuscito a scattare, così io scrissi il pezzo e mandammo tutto al Giornale d’Italia che fece una pagina intera con la foto e l’articolo con il titolo Crollano i palazzi a Vasto”. L’anno successivo alla frana nacque a Vasto l’associazione della stampa, presieduta dall’avvocato Fanghella. “Io ero il vicepresidente, c’erano Di Lanciano, Gigino Del Greco, Adriano Ciccarone, Valeriano Moretti. Facemmo un ordine del giorno per sollecitare le istituzioni ad affrontare i problemi ma non fecero niente”. Mentre ci racconta sfogliamo gli articoli del tempo e, visti i movimenti del costone orientale, sembra di leggere cose attuali. Nell’81, poi, divenne lui il presidente dell’associazione, incarico che ricopre ancora oggi. Un’associazione a cui tiene molto. “Non si paga nessuna tassa. E ogni anno mi fa piacere riunire questi amici, oltre che colleghi, per condividere un momento di incontro. Quest’anno dovremo parlare anche della formazione professionale”. Dal 1970 al 1995 ha anche lavorato presso l’Ufficio delle Imposte, non abbandonando mai, però, l’attività giornalistica, tanto da essere premiato lo scorso anno dall’ordine regionale abruzzese (di cui è stato consigliere) per la sua lunga iscrizione all’albo.
Tra le centinaia, o forse migliaia, di articoli che ha scritto, ce ne sarà stato certamente qualcuno che gli ha creato problemi. “Una volta sono stato querelato da una dottoressa dell’Ospedale, perchè secondo lei le cose che avevo scritto non erano vere. E invece fui assolto. Un’altra volta scrissi un articolo sulla gastronomia locale e un ristorante che non era stato citato mi denunciò. Ovviamente vinsi anche quella”. I ricordi affiorano uno dopo l’altro. “Quando scrivevo per Il Tempo ci fu il caso di una donna scomparsa in un paesino di montagna. Mi chiamò Gianni Letta, che era il direttore, e mi mandò con l’autista a raccogliere informazioni. Io, appena arrivato, andai al bar e poi dal barbiere dove, naturalmente, mi raccontarono tante cose interessanti. Mi diressi verso casa della donna scomparsa, da cui uscì il giudice Cordisco, sostituto procuratore. Quando mi vide mi disse: Peppino, non posso dirti niente. Ed io: già so tutto! Ed infatti scrissi il mio pezzo con le informazioni raccolte”.
C’è una cosa che per Catania non è cambiata con il corso degli anni, l’uso della macchina da scrivere. Ancora oggi, quando prepara un articolo, quando deve inviare una lettera, usa la fidata Lettera 32 della Olivetti. Di computer non vuole sentire parlare. “Ma ce l’ho il computer. Nella scatola. Mio nipote Gianluca ogni tanto cerca di spiegarmi qualcosa, ma a me non piace. Anche se credo che dovrò adattarmi”. Per lui non c’è niente di meglio che il rumore dei tasti. “Soprattutto ora che sono rimasto solo il rumore dei tasti mentre scrivo mi fa compagnia. La tastiera del computer invece è silenziosa, assente.
Il ricordo della moglie scomparsa è presente in ogni angolo della casa, in tanti ricordi che appartengono al passato e che cerca di tenere in vita nella mente e nel cuore. Oltre che giornalista, il cavalier Giuseppe Catania è anche poeta e ancora oggi, di fronte alla sua Lettera 32, “ogni mese scrivo una poesia pensando a mia moglie”. Ed era sempre per la sua signora che, prima di sposarsi, aveva realizzato dei quadri. “Molti li avevo regalati ad amici e parenti. Poi ho smesso di dipingere e ne sono rimasti solo due, che avevo fatto per mia moglie”. Per continuare a scrivere, in particolare pezzi storici, d’arte, culturali, recensioni, deve tenersi sempre informato. E così, ogni mattina, ripete quello che è diventato una sorta di rituale. Si reca all’edicola Di Lanciano, un tempo il “regno” del suo caro amico Vincenzo, dove gli fanno trovare la “mazzetta” con tutti i quotidiani. Li legge tutti e magari ritaglia e conserva quelli interessanti.
Poi un giro per il centro storico, il cuore della città che negli ultimi anni lo ha visto battagliere, anche con tanti articoli, per la sua tutela. A cominciare dalla strada dove abita, proseguendo per le piazze e le vie. “Non c’è cura, non c’è rispetto. Ho provato tante volte a sollevare i problemi, ma sembra non si riescano a trovare soluzioni”. Qualche idea, durante la nostra chiacchierata, che si è conclusa davanti ad un caffè, è anche venuta fuori. Perchè un siciliano, arrivato a vasto in un giorno del 1943, ha imparato ad amare questa terra e a farla diventare la sua. Cose che ancora oggi cerca di trasmettere a tutti, attraverso gli articoli sui giornali e con i racconti. Affidando alla sua Lettera 32, che ha preso il “posto” di un’altra macchina storica, la Lettera 22, ogni suo pensiero, anche se noi confidiamo di poterlo vedere presto navigare sulla rete internet. Ed è proprio alla sua macchina da scrivere, “prolungamento” delle mani di un buon giornalista, che Peppino Catania ha dedicato una poesia. A volte, nel toccarti, dentro il petto sento un pulsare che rallegra il cuore, e mi commuovo nel picchiar le dita sui tasti, che sono echi di mia vita.
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo