Ore 13. Inizia lo sciopero di 4 ore dei dipendenti dello stabilimento Canali di Gissi. Ci sono tutte le lavoratrici del pantalonificio, che si avvia alla chiusura, e tante loro colleghe del reparto giacche che, seppur non coinvolte nei tagli, vedono un futuro nero. Sono 289 le persone attualmente assunte dall’azienda che produce abiti da uomo, arrivata a Gissi 21 anni fa e che ha deciso di chiudere uno dei suoi reparti, quello in cui si producono i pantaloni. Una ventina quelle operanti nell’azienda Ago d’oro, che effettua delle lavorazioni per Canali. Ufficialmente la motivazione è nel calo nelle vendite di pantaloni, ma il timore di molti è che l’azienda voglia preservare le sue fabbriche nel nord Italia trasferendo quella parte di produzione fino ad oggi svolta a Gissi.
Nei giorni scorsi sembravano essere andate in porto le trattative con un importante marchio di abbigliamento pronto a rilevare capannone e lavoratori. Poi, però, al momento della firma è tutto sfumato. Ai dipendenti non è mai stato comunicato il nome dell’azienda, alimentando il sospetto che non ci fosse nulla di concreto sul tavolo. “Perchè non ci vogliono dare risposte? Abbiamo sempre lavorato e riconosciamo che siamo sempre state trattate bene. In passato ci hanno accusato di assenteismo, ma nessuno ricorda quando lavoravamo anche nel fine settimana o facevamo straordinari. Ora ci stanno trattando come se non valessimo nulla“, commenta amaramente una delle lavoratrici dello stabilimento.
La storia di Canali a Gissi ha vissuto tappe significative, fatte anche di modifiche nell’assetto societario. Inizialmente si producevano i pantaloni. “Ricordo quando abbiamo iniziato, a febbraio saranno 22 anni – spiega una lavoratrice -. C’erano pochi macchinari, poi sono arrivati quelli per le giacche”. Dopo un certo numero di anni i due reparti sono stati separati, con la creazione di due distinte società, il Pantalonificio d’Abruzzo e la Gissi Confezioni Maschili. “Da qualche tempo siamo tornati tutti in Canali s.p.a., così c’è scritto sulle nostre buste paga”.
La proprietà negli ultimi tempi non si è fatta vedere spesso da queste parti. A rappresentare l’azienda è arrivato un manager, Mario Greganti, per gestire questa complessa fase. “Abbiamo chiesto un incontro con tutti, ma è stato concesso solo ai nostri rappresentanti. Perchè?” A gestire le trattative con la Canali sono i tre sindacalisi Rucci, Zerra e Musacchio. “In questi anni c’è sempre stato reciproco rispetto e abbiamo sempre raggiunto accordi positivi – spiegano-. Ci auguriamo che in questa vicenda non finisca tutto male“.
Se per il pantalonificio la strada sembra segnata, o si trova un’azienda che si occupi della riconversione o i 97 dipendenti vanno a casa, non meno tranquilla appare la situazione del reparto giacche. Dei 192 assunti circa l’80% oggi ha aderito allo sciopero. “Si prevedono problemi anche per noi – spiega una dipendente di questo reparto -. Se nessuno rileva il pantalonificio Canali cosa fa? Resterà qui solo per una produzione, pagando Imu, corrente e tutto il resto solo per un reparto?”.
Preoccupazioni che si addensano come nubi nere sul futuro di tante famiglie. Molte delle dipendenti hanno il marito che lavorava alla Golden Lady, o alla Valsinello, o in altre aziende in crisi. “La situazione rischia di diventare drammatica”, ammoniscono i rappresentanti sindacali. Alle 15 le lavoratrici Canali si mettono in marcia diretti verso lo stabilimento della ex Golden Lady, dove è prevista l’assemblea dei lavoratori. Due realtà emblematiche della crisi di un’intera zona, con più di 600 persone coinvolte.
Si attendono risposte. Il 14 gennaio scadranno i contratti di solidarietà stipulati un anno fa. L’azienda ha fissato nella fine del 2013 il termine ultimo della sua attività. Due mesi per trovare una soluzione dopo 22 anni di attività. Superfluo dire che di tempo ce n’è davvero poco.