Nell’uso comune del linguaggio, come fossero un’unica vera parola, spesso si adoperano acronimi senza conoscere il significato delle più iniziali che lo compongono (nasa, asl, unicef, aido, cai, cia, enel ecc), tra questi, CENSIS. E’ nel 1964 che nasce il Centro Studi Investimenti Sociali, un istituto italiano di ricerca socio-economica, oggi Fondazione. Cosa fa? Svolge attività di ricerca, di consulenza ed assistenza tecnica nel settore socio-economico: studia la società italiana, la sua economia, la sua evoluzione sul territorio ma redige anche programmi d’intervento in più settori, quali la formazione, la sanità, la comunicazione, il welfare, la sicurezza ed altri ancora. E’ un’attività che viene affidata da più realtà pubbliche: ministeri, amministrazioni regionali, provinciali, comunali, camere di commercio, associazioni imprenditoriali o professionali, banche, aziende private, organismi internazionali. Il CENSIS, per lo più, è conosciuto dalla più vasta platea in occasione della redazione del “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, documento redatto ogni anno quale fitta ragnatela di dati tessuta con perizia. Da questo “Rapporto”, con cui si fotografa la situazione nazionale, scaturisce la “interpretazione” della realtà.
E’ ben chiaro che, alla luce dei tanti mutamenti sociali ed economici degli ultimi anni e, zummando, dell’ultimo anno, tra studi, considerazioni ed interpretazioni, il CENSIS ha avuto il suo bel da fare.
In anni di cambiamento, il suo compito è delicato e l’interpretazione della realtà è cosa complessa, soprattutto nel momento in cui questa dovesse ispirare scelte e decisioni di natura politica.
E’ sufficiente individuare anche pochi aspetti dell’attualità per comprendere quale potente arma rappresenti l’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”: sovranismo, immigrazione, reddito delle famiglie e delle imprese, criminalità, emigrazione giovanile italiana… bastano questi per alimentare la polveriera.
Quando, poi, il CENSIS passa alla fase “interpretativa della realtà”, la politica si divide nelle sue diverse opinioni e sulle scelte da operare per migliorare i più aspetti individuati.
Esempio. L’Italia è il paese dell’Unione europea con la più bassa percentuale di cittadini che ritengono di avere un reddito e una capacità di spesa migliori di quelle dei genitori: il 23% contro una media UE del 30%. Se si interseca questa convinzione con l’altra che vede il 63,6% degli Italiani convinto che i propri interessi ed identità siano scarsamente difesi, è immediato che ne derivi, secondo il CENSIS ed in ordine al fenomeno immigratorio, che “La non sopportazione degli altri sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili”. Gli Italiani diventano, così, cattivi e razzisti, ne scaturisce una sorta sovranismo psicologico.
Questa è una “interpretazione della realtà” che spinge, poi, la politica a prendere posizione: da una parte c’è chi ritiene, di conseguenza, di opporre misure per impedire o per calmierare gli ingressi in Italia, e, dall’altra, c’è chi invece ritiene che, di conseguenza, l’immigrazione possa rappresentare un aiuto per la nostra economia.
Ancora. Il 69,7% degli Italiani non vuole che i rom abitino vicino casa propria, così come il 52% è convinto che il sostegno per gli immigrati sia maggiore di quello per gli Italiani. Il 63% degli italiani non gradisce l’immigrazione dai Paesi extracomunitari (la media dei Paesi UE è del 52%) e questo perché per il 58% gli immigrati tolgono il lavoro agli Italiani e per il 63% sono un peso per il benessere dei cittadini. L’interpretazione del CENSIS è la seguente: ”Sono i dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili ma spessi“. Anche qui, la politica prende posizioni tra loro differenti: da una parte c’è chi ritiene, di conseguenza, di dover diminuire il sostegno agli stranieri e prediligere quello agli Italiani e, dall’altra, c’è chi invece ritiene che le misure economiche di integrazione siano, in prospettiva, di supporto anche per il nostro welfare.
Sono tanti gli aspetti considerati dal CENSIS ed in questo spazio se ne prende in considerazione soltanto uno, sarebbe interessante scorrerli tutti per capire di più. Si estrapola soltanto un altro passaggio del “Rapporto”, senza per questo farne artificio fuori dal contesto: “Il sistema sociale, attraversato da tensioni, paure, rancore, guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità” … “il popolo si ricostituisce nell’idea di una nazione sovrana supponendo” che “le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale“.
Così come il CENSIS, anche la Politica ha, tra i suoi compiti, quello di interpretare i fatti ed il primo dovrebbe solo aiutare a farlo. La Politica, però, è chiamata a dar soluzioni ed il riscontro alle sue tesi è, in democrazia, dato dal popolo. Affinché queste non siano soltanto espressioni demagogiche volte all’acquisizione del consenso, è poi indispensabile valutare il riscontro che il popolo da alle scelte concrete ed attuate.
Il ruolo del CENSIS è quindi ben circoscritto. Nel suo essere “Fondazione”, così come riconosciuta da un Decreto del Presidente della Repubblica, nel 1973, è un ente di diritto privato le cui interpretazioni non possono aver valore di indirizzo, questo spetta alla Politica e la Politica, nei termini di volontà popolare, attua le proprie scelte, nonostante il CENSIS e nonostante il ragno che tesse la sua ragnatela per catturare mosche.