E’ il nuovo male della nostra epoca: la “Sindrome della vita di merda”. Una definizione forte, pesante, esplicita, nuda e cruda, che è stata coniata da un team di medici statunitensi per descrivere il malessere socio-economico-psicofisico regalatoci dalla società in cui oggi viviamo.
La “Shit life syndrome” è la nuova epidemia che angoscia il mondo occidentale, un mondo in cui l’impressione che la propria vita stia diventando un peso insopportabile sta riducendo progressivamente anche la resistenza del fisico alle malattie. Gli studi scientifici dimostrano che l’aspettativa di vita ha iniziato a rallentare, che si muore prima: per overdose di droghe, per condizioni correlate al consumo di alcol, per suicidi, tumori e malattie che coinvolgono, in particolare, fegato e cuore.
Oggi si muore prima e peggio a causa delle condizioni economiche, ambientali e sociali determinate dal consumismo, dalla corsa al profitto, dalla tecnologia sfrenata, dalla mancanza di lavoro, dalla rottamazione dei diritti reali e più profondi delle persone.
Ogni giorno ci troviamo a fare i conti con disperazione, sconforto, apprensione per l’oggi e paura per il domani, rapporti umani e contratti sociali logori, solitudine in mezzo alla gente, odio sociale e ingiustizie. La “Sindrome della vita di merda” rende la nostra esistenza un peso troppo grande da sopportare anziché un dono immenso di cui gioire.
Ormai siamo diventati zombie attaccati ai nostri smartphone, corpi alimentati dai cibi velenosi delle multinazionali, mostri che fagocitano le risorse della Terra. Ma la sindrome può e deve essere sconfitta da una presa di coscienza: nell’universo osservabile sono presenti più di cento miliardi di galassie, anche se, secondo nuove ricerche scientifiche, tale numero risulterebbe più alto di almeno dieci volte e oltre il 90% delle galassie non sarebbe rilevabile con i telescopi di cui disponiamo oggi, ancora troppo poco potenti. Ora, se tra oltre cento miliardi di galassie ci è dato di vivere la nostra esistenza su questo piccolissimo pianeta chiamato Terra, vuol dire che la nostra vita un senso ce l’ha.
Sarà pure un vita “di merda”, ma è una vita che si è fatta strada tra oltre cento miliardi di galassie e noi, con forza e coraggio, dobbiamo preservarla allenando una capacità che è poi l’unica vera arma per conquistare, se non proprio la felicità, almeno la serenità e la libertà interiore: la resilienza.
Nella tecnologia dei materiali, la resilienza indica la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. In psicologia, la resilienza definisce la capacità di riuscire ad affrontare gli eventi negativi e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà.
Lo psicologo Pietro Trabucchi, esperto sul tema della resilienza, è certo che questa capacità possa essere appresa. “Quando la vita rovescia la nostra barca – precisa Trabucchi – alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo ‘resalio’. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui”.
La resilienza richiede un “allenamento” quotidiano, va costruita lottando, non perdendo mai la speranza di poter cambiare, cominciando da noi stessi, la società malata in cui viviamo.
Certo, da questa lotta potremmo uscire sconfitti ma, d’altra parte, se è vero che chi lotta può perdere, è vero anche che chi non lotta ha già perso.