6 gennaio – 19 maggio 1799. La breve vita della Repubblica Vastese dipendente dalla Francia napoleonica sta tutta nella sua immane incomprensione. Un fenomeno che aveva scombussolato l’intera Italia nella sua forma di agglomerati di piccoli Stati dell’epoca, giunse alle sponde del nostro mare instaurando un nuovo sistema figlio della sconfitta delle armate di Napoli nello stesso anno.
Quando le truppe francesi comandate dal generale Duhesme giunsero sul suolo abruzzese, l’esercito borbonico tentò di rispondere con una leva obbligatoria. Ma era troppo tardi. L’onda tricolore era inarrestabile e con essa le idee liberali scaturite dalla Rivoluzione. Due tra i più grandi sostenitori della nuova concezione politica erano Paolo Codagnone e Filippo Tambelli che, una volta liberati dal carcere di Vicaria, si adoperarono per portare la Rivoluzione diffondendola a contatto con la popolazione. Così, dopo un incontro con i deputati del popolo vastese Francesco Antonio Ortensio, Floriano Pietrocola ed Epimenio Sacchetti, Codagnone si vide affibbiare il ruolo di presidente della municipalità accompagnato dai municipalisti già citati con l’eccezione di Sacchetti, sostituito da Romualdo Celando, a causa della sua fedina penale sporca di emissione di valuta falsa.
Il 6 gennaio, la campana parlamentaria rintoccò segnando il nuovo inizio. Nuovo che divenne subito vecchio. Prima venne revocato da ignoti lo stemma repubblicano poi, pronosticando un’imminente ribellione, Codagnone e Tambelli morirono a Ortona incappando malauguratamente nella ribellione popolare mentre erano in cerca di sostegno da parte delle truppe francesi. Detto fatto, Vasto seguì l’esempio della vicina cittadina e il 2 febbraio scoppiò la contro-rivoluzione dei Sanfedisti con l’obiettivo di restaurare il dominio borbonico. Fu un vero e proprio eccidio e, come spesso accade, di mezzo ci finì anche chi non aveva nulla da spartire con il regime. Spesso l’obiettivo era inoltre quello di distruggere documenti per farli scomparire dagli archivi pubblici, soprattutto gli atti che riconoscevano la proprietà del comune su alcune terre. Ortensi, Pietrocola e Sacchetti morirono trucidati dal popolo come i loro colleghi.
La cittadinanza si affrettò a costruire un governo alternativo e tradizionale prima che i francesi approdassero a Vasto. Il barone Pasquale Genova, Francesco Maria Marchesani, Leopoldo Cieri e il conte Venceslao Majo, che svolsero il ruolo di autorità sostitutive, non riuscirono ad evitare che il popolo rinchiudesse nel Collegio dei Clerici Regolari della Madre di Dio tutti i danneggiati dai saccheggi, rei della possibilità di poter spifferare i nomi dei ribelli. Fortunatamente, si riuscì ad arrivare a un compromesso da cui entrambe le parti uscirono indenni. La tregua venne discussa e Gouthard perdonò in blocco i vastesi, ad eccezione dei quattro generali in quel momento al governo che comunque riuscirono ad ottenere una grazia dai francesi dovuta al buon lavoro del conterraneo Romualdo Cesano, ritornato al potere e sempre fedele alla sua causa.
Tuttavia, i mille uomini che la Repubblica Francese aveva messo a disposizione per difendere quell’esiguo territorio preferirono scappare di fronte all’esercito Sanfedista presentatosi a Vasto il 18 maggio. Giovanni Battista Crisci e Piero Laccetti erano ora a capo della nuova amministrazione. La restaurazione era compiuta, il resto era solo un ricordo fugace e insignificante.
Alessandro Leone