Se il nuovo sindaco di Teramo, nelle interviste post elezioni, si affretta a precisare che lui non è più iscritto al Pd, le elezioni amministrative abruzzesi del 10 e del 24 giugno scorsi non sono certo una boccata d’ossigeno per i dem in vista delle elezioni regionali del prossimo anno.
“Io avevo ormai, mi spiace dirlo, voltato le spalle totalmente al Pd come correnti e capi di corrente locali: dinamiche che non servono a nessuno ed erano un’espansione di logiche personalistiche nazionali. Invece qui ad essere premiata è stata una forza di grande civismo”, ha detto a La Repubblica Gianguido D’Alberto. Al primo turno, il suo avversario di centrodestra, Giandonato Morra, era 13 punti avanti. Al ballottaggio, contrassegnato da un astensionismo superiore al 50%, ha pagato le guerre sotterranee che avevano portato alla caduta del sindaco uscente, Maurizio Brucchi.
D’Alberto ha saputo proporsi come slegato dall’establishment, evitando di subire l’onda d’urto provocata dalla caduta, nella medesima maratona dei ballottaggi, delle non lontanissime roccaforti rosse di un Centro Italia che rosso non è più. Tant’è che Teramo in controtendenza diventa un caso nazionale, finisce sotto i riflettori della grande stampa proprio perché il candidato vincente, sia pure sostenuto anche dallo stesso Pd che ha ripudiato, prende le distanze dal suo ex partito e si presenta come civico: “Noi abbiamo fatto in piccolo ciò che Pisapia, ad esempio, ha sperimentato così bene a Milano”, dice ancora a Repubblica quasi a voler indicare una via d’uscita dalle sabbie mobili dell’irrilevanza politica cui dem e sinistra stanno sprofondando. Partito e coalizione sempre più rarefatti nel consenso elettorale e, di conseguenza, nella geografia politica nazionale.
La tornata amministrativa abruzzese, pur di rilevanza relativa (31 Comuni su 305, 175mila elettori chiamati alle urne), ci consegna, però, un dato in qualche modo storico: la Lega inizia a mettere le radici in Abruzzo, conquistando Silvi. Era, insieme a Teramo, l’unico centro al di sopra dei 15mila abitanti in queste consultazioni elettorali. Nel suo primo municipio espugnato, la Lega ha vinto candidando un rappresentante delle forze dell’ordine, Andrea Scordella, e puntando sulla sicurezza, uno dei cavalli di battaglia del leader nazionale, Matteo Salvini. Lo ha fatto poggiandosi su un asse che ricalca il contratto di Governo nazionale tra leghisti e Movimento 5 Stelle, tant’è che, nella notte della vittoria, Scordella ha ringraziato l’elettorato pentastellato per averlo scelto al ballottaggio contro il centrosinistra, che aveva puntato sull’ex sindaco, Francesco Comignani.
Dal 13% ottenuto in Abruzzo alle elezioni politiche del 4 marzo, è iniziata l’escalation. La corsa a salire sul carro (o meglio, sul Carroccio) del vincitore. Nella convinzione di aver trovato l’ariete con cui sfondare i portoni dei palazzi della politica, molti esponenti locali di destra e centrodestra hanno sottoscritto la tessera col simbolo di Alberto da Giussano. Una migrazione che, settimana dopo settimana, sta assumendo i contorni dell’esodo. Tant’è che a Pontida, al trentaduesimo raduno nazionale leghista, gli abruzzesi erano 300. Tra questi, anche tanti volti noti della politica regionale e locale. Quanti ci credono davvero e quanti sperano in una candidatura, sostenuta da un partito in crescita, alle prossime regionali? Per la risposta, ripassare tra un anno, quando, come in tutte le elezioni, qualcuno sorriderà, molti altri no. Lì si capirà chi era entrato solo per ambizioni di carriera.