Se è vero che le parole esprimono un contenuto, è vero anche che è il contenuto a dare loro sostanza.
La questione non è affatto banale e risale almeno ai tempi di Socrate e dei Sofisti; tuttavia, senza tirare necessariamente in ballo costoro, è sempre buona costumanza chiedersi cosa significhi una certa parola, specialmente quando è “nuova”.
È il caso di “sovranismo”: sento (ab)usarla dappertutto, in radio, sui giornali, in TV e per lo più con connotazione negativa. Come dire che “sovranista” sia qualcuno contro i tempi, qualcuno che segua una pericolosa deriva culturale e politica che sia basata su “esclusione” e non su “inclusione”.
Quindi, giusto per dare una sintesi estrema, parrebbe che oggigiorno o si sia “europeisti” (e quindi, inclusivi, moderni, socialmente responsabili) o “sovranisti” (e perciò anti-sociali, oscurantisti, arroccati in posizioni di estrema difesa del proprio perimetro culturale).
Ma è davvero tutto qui?
Perché, se così fosse, mi domando come vada definito un Paese che respinga migranti a Ventimiglia, li faccia perfino scendere a forza dai treni e poi, nelle sedi ufficiali, lanci strali infuocati contro i “sovranisti”.
Mi domando come vada indicato un Paese che, agli albori della crisi del 2008, diede disposizioni alle proprio imprese di “comprare tedesco”, penalizzando così i fornitori esteri, ma che tiene sempre ben alta la guardia contro il “pericolo sovranista”.
Il vero nodo, temo, è molto più profondo di una semplice questione di terminologia formale.
Siamo membri di una unione che non è stata fondata su alcun valore comune, ma solo su convenienze economiche e opportunità di scambio commerciale.
Basti pensare che nelle Carte fondanti della Unione Europea non c’è nessun riferimento ai valori cristiani – cattolici o protestanti che siano – che vengono, però, farisaicamente invocati quando c’è da scegliere chi debba accogliere l’ennesimo barcone di disperati.
L’Europa è l’unica via: di questo non c’è alcun dubbio. Ma occorre che sia una Europa di valori e non di mercati: i primi, infatti, comportano obblighi – anche pesanti – per chiunque li riconosca; gli altri, invece, si basano solo su freddi calcoli di beneficio economico.