Dopo l’intervista ad Andrea Maggio (LEGGI), torniamo a parlare delle esperienze dei vastesi espatriati, raccontate da loro in prima persona. Questa volta ci occupiamo di Luca Storto, 35 anni, lavoratore con una carriera già ben avviata nel ramo finanziario. Dall’esperienza negli Stati Uniti al praticantato terminato a Vasto, Luca ha trovato una nuova casa in Lussemburgo, uno dei più importanti centri economici mondiali. Lì è riuscito a coltivare le sue ambizioni approdando prima nel settore assicurativo e successivamente in quello più tecnico dei fondi di investimento. Non sappiamo dove il futuro lo porterà ma, per il momento, la BNP Paribas gli sta offrendo un’esperienza stimolante e gratificante. La nostalgia del mare, degli affetti, come nella maggior parte dei casi, si fa però sentire. Già in passato, quando lavorava per la Lombard International Assurance, aveva deciso di organizzare un evento di devozione alla propria terra permettendo ai suoi colleghi di testare i prodotti abruzzesi. Oggi, da quello che ci ha detto, spera ancora di poter tornare un giorno, a condizioni che gli permettano di sentirsi valorizzato.
Raccontaci la tua storia
Mi sono laureato a Pescara, dove avevo iniziato anche la specialistica ma per pura casualità un amico pugliese mi disse: “Luca noi dobbiamo puntare a qualcosa sopra l’ordinario.” Lui era molto ambizioso, io invece non molto. Mi propose di andare a Milano per fare un test alla Bocconi. All’inizio non mi pareva una buona idea. In realtà io ero legato alle mie radici e il mio obiettivo era quello di fare il professionista a Vasto. Alla fine però si dimostrò uno stimolo e decisi di mettermi in gioco.
Ricordo che fummo ospitati da un suo amico e dormimmo per terra la sera prima. Il giorno dopo avremmo dovuto sostenere questo esame, 100 domande in 100 minuti. Nonostante l’Università di Pescara abbia sempre formato in maniera eccellente i propri studenti, ero molto scettico sull’esito finale ma alla fine il test andò bene. Dovetti rinunciare ad alcuni esami che avevo già svolto a Pescara e che non mi sarebbero stati riconosciuti. Furono i miei genitori a spingermi ad accettare.
Lasciai tutto e andai a Milano. Per l’università pagavo una retta altissima aggiungendo gli affitti, i trasporti, il mangiare ma fortunatamente i miei genitori credevano in questa opportunità come un trampolino di lancio, supportandomi ogni momento. In classi selezionate di circa 50 persone ritrovai altri 2 vastesi, una percentuale altissima. Fu una bella sorpresa.
Finita la magistrale, dopo tre giorni stavo già lavorando all’Unicredit di Cologno Monzese grazie a uno stage. Era il 2009, periodo centrale della crisi economica; anche per questo mi ritrovavo a svolgere uno stage piuttosto che avere un contratto. Al termine, l’Unicredit decise di non prendermi. La crisi aveva portato la banca a delocalizzarsi e fare outsourcing di alcuni servizi nell’est Europa, per questo decisi di valutare l’estero. Avevo delle conoscenze e parentele negli USA e vissi lì per quasi un anno presso una famiglia di origini frainesi, nel New Jersey. Perfezionai la lingua ma non riuscii a trovare molto: era una tendenza comune.
Tornai per sostenere la pratica da commercialista tra Roma, Pescara e Vasto e riuscii ad abilitami. Mi accorsi però che, da una parte il trend economico negativo e dall’altra il classico nepotismo italiano, non mi offrivano la giusta chance per esprimere le mie potenzialità. Per questo mi balenò l’idea di riprovare con l’estero.
Sapevo che in Europa vi erano paesi di eccellenza finanziaria e industriale che apprezzavano la formazione universitaria italiana. Tra i pochi paesi selezionati, non so perché, mi catapultai, anche grazie il consiglio di una amica, in Lussemburgo. Notai che Pescara era ben connessa a livello aeroportuale, si poteva scendere a Francoforte o Charleroi arrivandoci poi autobus. Decisi dunque di visitarla prima da turista. Conoscevo la sua nomea e la caratura della nazione, all’epoca c’era Junker, un personaggio potentissimo e attuale presidente della Commissione Europea. Andai a finire in un ostello, i prezzi erano assurdi, avevo preso un caffè a 2.80 €, il che mi fece pensare: “Ma che razza di paese è?”.
Era una nazione organizzatissima, gli autobus spaccavano il minuto. C’erano castelli, fiumi e laghi, era possibile raggiungere Germania, Belgio e Francia in 20 minuti. Inoltre, la comunità italiana era ben radicata e posizionata perfettamente nel contesto sociale lussemburghese. Il censimento già allora numerava circa 25 mila concittadini. Tornai entusiasta ed iniziai a propormi tramite candidature on line.
Due furono le società a rispondere: la State Street Bank e la Lombard International Assurance. Quest’ultima si mostrò immediatamente più interessata. Svolsi due colloqui via Skype, uno conoscitivo e uno tecnico. Fin da subito ho sentito che era andata bene anche se la competizione era elevata. In fin dei conti, perché avrebbero dovuto prendere un esterno da Vasto e non un autoctono lussemburghese? Dovevo mostrare di avere qualcosa in più.
Mi richiamarono e mi offrirono immediatamente un contratto da firmare. Era una cifra che prima potevo solo sognare. Basti pensare che il neolaureato in Lussemburgo guadagna in media 2.400 euro netti al mese. Inoltre le condizioni contrattuali aggiuntive includevano tredicesima, quattordicesima, vouchers e altri benefit. Un’opportunità da non perdere. Roma e Milano non sarebbero mai arrivate a queste proposte.
Accettai immediatamente e mi trasferii in Lussemburgo iniziando a lavorare nel loro Finance Department. Dopo un paio di anni, capii che la vera specializzazione su cui volevo focalizzarmi era quello dei fondi di investimento (Private equity per la finanza pura e Real estate per il campo immobiliare). Questo perché il Lussemburgo è il secondo paese al mondo per Assets under Management, dopo gli Stati Uniti. Inoltre, le più grandi multinazionali in questi anni hanno stabilito la loro sede legale lì.
Feci dei piccoli corsi per imparare la contabilità dei fondi e mi proposi ad alcune banche tra cui la Royal Bank of Canada. Diventai un Fund Accountant per loro nel 2016. Ero contentissimo, però in quell’anno sperimentai una grande delusione in amore che mi portò a una fase depressiva. Ad ogni modo, quello fu per me un nuovo stimolo. Infatti, superato il periodo nero, volevo una nuova esperienza con un altro istituto bancario che mi avrebbe permesso (un giorno) un eventuale trasferimento nella mia Vasto. Andò bene il colloquio con BNP Paribas da cui ne ricavai un contratto a tempo indeterminato. Un’esperienza bellissima: da subito hanno puntato su di me attraverso corsi linguistici e di formazione fiscale.
Punti a tornare in Abruzzo?
Credo che tutti gli emigrati sentano nostalgia, in modo particolare quando fai passi così importanti in paesi freddi senza montagna, mare e dove le persone non sono così affettuose come qui. Punto a tornare in futuro anche se non sputo mai nel piatto in cui mangio. Mi hanno dato una chance per gestire dei fondi finanziari milionari. È difficile in Italia prendere qualcuno dall’estero e collocarlo in settori così ambiti. In Lussemburgo c’è la cultura dell’eccellenza, metà della popolazione è straniera e puntano subito sulla persona responsabilizzandola. Qui non succede, non si crede nel giovane promettente locale ed allo stesso tempo si vive di attesa, di un’ipotetica illusione di ripresa che possa far tornare l’Italia ai tempi fasti di un tempo ma, personale opinione, ci vorranno ancora svariati e svariati anni. A livello macroeconomico, anche un paese come la Spagna si sta riprendendo, noi no.
È anche un problema regionale oltre che nazionale?
Certamente si. L’Abruzzo, come tante altre regioni del Sud Italia, è stato uno spettatore passivo del trasferimento dei propri giovani. Reo a mio avviso di non aver contribuito a mantenere nel territorio giovani e talentuosi laureati. Ad esempio avrebbe potuto finanziare, magari anche parzialmente, le provincie ed i comuni per il ritorno delle menti espatriate perché questa emorragia intellettuale ha circoscritto tutto il territorio. Strategie che, a livello politico, non hanno mai trovato spazio nelle varie agende elettorali.
Cosa potrebbe fare Vasto per rendersi più appetibile?
Ha avuto un trend negativo che segue quello nazionale. Vasto a mio avviso non dovrebbe avere solo una economia a vocazione turistica, ovvero una economia stagionale. La rete imprenditoriale locale e di quelle in zone limitrofe in simbiosi con i vari istituti bancari potrebbero rafforzare il loro organigramma con l’inserimento di giovani leve a visione futuristica e allo stesso tempo realizzare nuovi progetti orientati maggiormente all’export e alla internazionalizzazione. A volte dalle peggiori crisi è possibile cogliere nuove ed allettanti opportunità, nuove opportunità di business. E’ questione di mentalità, bisogna essere camaleonti.
Cosa consigli ai giovani vastesi?
Se hanno trovato la loro nicchia e stabilità lavorativa solo di godersi la nostra terra d’oro. Chi invece ha fatto sacrifici, ha sostenuto spese ingenti ed ha investito anni sui libri, in cerca di lavoro solo a livello locale od interregionale, scartando una esperienza all’estero, fa il più grande sbaglio della sua vita. Questo periodo di tempo in stand-by è una perdita potenziale di “skills and knowledge” . Inoltre, mancherebbero di opportunità internazionali che potrebbero arricchirli a livello professionale, linguistico e umano. Aspettare che i governi possano cambiare il contesto locale è da pazzi, significa non avere una mentalità aperta, significa sempre dipendere da qualcuno. E il curriculum negli anni vuoti conta.
Ho nostalgia della mia terra ma sono realista. Ho qualcosa di importante sottomano, vorrei tornare ma a determinate condizioni. Mi dispiace perché, nonostante una certa facilità logistica fra Vasto e Lussemburgo, quando lascio casa e riprendo l’aereo, lascio sempre un pezzo di cuore. Ho comunque ancora un piccolissima e flebile speranza di tornare, ma senza una sinergia attiva fra classe politica e tessuto imprenditoriale sono solo ipotesi senza fondamenta. Qualcosa si può fare, in fondo siamo la settima potenza industriale al mondo.