La “fuga di cervelli” verso l’estero è un fenomeno che sta acquisendo sempre più risonanza all’interno del panorama nazionale, ma non solo. L’emigrazione dei giovani si registra in maniera preoccupante anche nel contesto locale, il che ci costringe a un’auto-riflessione sull’appetibilità del territorio, i servizi che offre e le strategie da adottare al fine di convincere i giovani a restare.
Abbiamo affrontato questi argomenti in una chiacchierata con Andrea Maggio. Classe 1993, rappresenta una delle eccellenze della pallavolo abruzzese e grazie a questa passione è riuscito a guadagnarsi una borsa di studio con la Park University. Oggi vive a Kansas City e dal suo racconto si evince la soddisfazione nell’aver trovato una sua dimensione gratificante a livello professionale, sportivo e umano. La sua priorità oramai è quella di restare negli States, ma non è detta l’ultima.
Nel corso dei suoi tre anni alla Park, Andrea è riuscito a togliersi qualche soddisfazione. Nell’ultimo anno è stato inserito tra i migliori giocatori della mid-west conference (il first team) e dell’intera nazione figurando nella formazione degli all-american. Tuttavia, laurearsi per lui vorrà dire scegliere: restare negli USA o continuare con la carriera da pallavolista. Non è possibile portare avanti entrambi gli obiettivi e non esiste una categoria professionale nella pallavolo così come per il basket (l’NBA). Ma ora lasciamo parlare lui.
“Le persone e i legami che ho qui non credo li troverò mai altrove. Vasto sarà sempre al primo posto per le emozioni e per il trascorso che ho avuto qui, Vasto mi farà sempre sentire a casa”
Come sei riuscito ad approdare negli States?
Avevo iniziato l’università a Chieti, poi con un’agenzia sportiva sono andato negli States e ho ricevuto l’offerta. Studiare in America costa molto perché la retta delle università (tralasciando quelle dal costo esorbitante) va dai 20mila ai 40mila dollari annui ma con la pallavolo sono riuscito ad ottenere una borsa di studio che copre tutte le spese senza cui non ce l’avrei fatta. I campionati mettono di fronte college contro college però, mentre per il basket c’è un livello professionale, per la pallavolo invece no. Se si vuole continuare a giocare bisogna andare via dagli Stati Uniti ma a me piace stare qui e mi piace Kansas City. È una piccola metropoli di 500mila abitanti dalla mentalità molto aperta.
Quindi non punti a una carriera nella pallavolo?
Mi piacerebbe continuare ma questo vorrebbe dire uscire dagli Stati Uniti. Io sono lì per la pallavolo ed è e deve essere il mio tutto quindi è una priorità fino alla mia laurea. Poi però, il mio obiettivo principale è quello di restare negli States.
Cosa stai studiando e dove?
Studio alla Park University che si trova in una piccola città fuori da Kansas City, a 15 minuti dal centro. Sto studiando Finanza dopo aver iniziato con Scienze Motorie. Non sono mai stato un grande studioso quindi non pensavo di poter studiare Economia.
Però alla fine il ruolo degli Stati Uniti è sempre stato quello di spingere a credere maggiormente in se stessi
Esattamente. Quindi ho provato ad inserire dei corsi a scelta di business, mi sono piaciuti ed ho cambiato corso di studi.
Cosa vorresti fare da grande?
Punto a lavorare in una compagnia bancaria o in un’azienda, magari come analista finanziario oppure avendo un ruolo manageriale. Un problema potrebbe riguardare la cittadinanza: se non trovo lavoro in un anno, dopo la laurea devo andare via a meno che non abbia la carta verde. Potrei iscrivermi a un master che mi permetterebbe di restare altri due anni oppure tornare in Europa.
Parecchi scenari quindi
Beh, poi trovare lavoro negli USA anche con la laurea è difficile perché il datore deve pagare delle tasse in più se sei straniero.
Quindi a parità di condizioni si preferisce chi ha la cittadinanza
Sì, io vorrei ma non è facile. Nell’ultimo anno impazzirò cercando lavoro.
Non valuti la possibilità di tornare in Italia o in Abruzzo alla fine degli studi?
No perché tornare in Italia vorrebbe dire dover andare a Roma o Milano che non prediligo come città. Riguardo l’Abruzzo: quello che farò nella vita è più forte, non dei legami ovviamente, la mia famiglia è tutto, ma se tornassi poi cosa farei?
Immagino avrai sviluppato dei legami anche negli USA
Non così forti come con la mia famiglia ma ci sono delle persone a cui voglio bene.
E se la regione ti offrisse qualcosa riguardo ciò che studi?
Forse non tornerei comunque perché voglio fare un’esperienza di lavoro in America.
Quindi non è un problema di servizi
No assolutamente, è una mia aspirazione, un bagaglio che voglio avere. Magari potrei tornare qui con un’esperienza lavorativa alle spalle, non ho smesso comunque di pensare all’Italia.
Ti manca il tuo paese?
Quando sono qui sto bene. Ci sono molte persone che mi dicono di sentire la mancanza del mare, a me manca ma posso vivere senza. Magari ha influito mio padre come figura, stando molto fuori casa mi ha abituato a non essere radicato nel territorio. Certo, un’ipotetica famiglia la vedrei a Vasto ma prima devo fare le mie esperienze.
Pensi che la regione possa rendersi più appetibile in qualche modo?
Ovviamente sì, per le bellezze che abbiamo non solo qui ma in Italia. Io da una parte capisco le persone che vogliono uscire dalla regione per svolgere delle esperienze ma dall’altra no, soprattutto se si tratta di andare all’estero per lavorare in qualcosa che si potrebbe fare anche qui. Sicuramente c’è il fattore linguistico però io sono uno che pensa molto al futuro. Voglio laurearmi e ho la pallavolo come ruota di scorta. Non sono andato via perché ero stanco della città ma ho usato la pallavolo per qualcosa in più, che potesse migliorarmi. Poi c’è gente che è legata a Vasto e non ha aspirazioni particolari, io le capisco.
Punti positivi della mentalità statunitense su quella italiana
Lì la mentalità è molto aperta, nessun giudizio per quello che sei o che fai. Quando la chiamano “terra dei sogni” o “delle libertà” è vero anche se sono rigidi con le leggi. Non sono menefreghisti, ti danno una mano. I professori sono disponibilissimi, veloci nel rispondere, reperibili. Qui in Italia già è tanto se un professore ti risponde. Inoltre, nel nostro paese è difficile studiare e fare sport allo stesso tempo. Ho amici che hanno esami il giorno dopo la partita. Lì in America sei sempre giustificato perché giochi per l’università. Qui in Italia non lo capiscono, se fai sport ti scartano. Alle superiori non ti giustificheranno mai ma questo vale con qualsiasi passione.
Punti a favore per l’Italia
Le nostre università sono ottime. Loro sono più preparati a livello pratico, noi teorico. Per le scuole soprattutto: ti preparano davvero al mondo del lavoro. Lì si lavora molto, non si fa la bella vita e non ci sono pause. Questo mi piace dell’Italia: il caffè, l’aperitivo e i piccoli momenti. Comunque sia per la mentalità verto verso il lato USA.
Immagino che venendo anche da un contesto così piccolo sia logico
Esatto. Anche perché ci si confronta con altre culture e capisci davvero che se non hai l’iphone di ultima generazione non è un problema perché non è solo apparenza.
Ti sei mai sentito in difficoltà?
Quando sono arrivato nel 2015 tantissimo. All’inizio non capivo il loro accento nonostante avessi studiato l’inglese. Il mio orecchio si è allenato solo dopo tre-quattro mesi. La difficoltà più grande era a lezione, spesso dovevo far ripetere le domande. Però sono esperienze che consiglio a tutti. Tanto casa è sempre qui. Io sono partito dicendo: “Se sto male torno ma perché non provarci?”. La voglia di sapere e di conoscere era più grande. Non vedo l’ora di laurearmi e vedere cosa succede dopo. Qualunque cosa sia, se una persona vuole farla deve farla, perché privarsi di una cosa così bella? Perché per me è bella, è fantastica. E non ho mai incontrato persone che non si sentissero bene in quel contesto.
Penso che l’esperienza mi abbia cambiato però in positivo. Alla fine, la cultura americana non è molto lontana dalla nostra, non è come andare in Giappone. È un paese così grande che è tutto grande, dalla macchina, le case alla mentalità. Tutti sognano, poi se va male pazienza.
In un paese così grande non avresti difficoltà a trovare lavoro
Non vivo infatti con la paura di non farcela.
Comunque già ce l’hai fatta
Sì, ma fino a quando non vedo il pezzo di carta che certifica la mia laurea non canto vittoria.
Cosa ne pensi della didattica?
L’università non è grandissima, le classi sono massimo di trenta persone. I professori sono molto disponibili, lo vedo soprattutto con le materie più matematiche. Loro vogliono vederti avere successo e questo ti invoglia molto a studiare. Qui sei un numero, lì sanno il tuo nome, cognome, ci si parla per strada.
La tua giornata tipica
Mi sveglio alle 7-7.30 e faccio colazione in mensa. Le lezioni le finisco normalmente tra le 11 e le 14. Tutti i giorni allenamento alle 15, seduta pesi, cena e studio. Nel fine settimana si studia, si gioca e si esce. A me questo ritmo serve ma la mia vita sociale è molto attiva. A volte è difficile conoscere qualcuno fuori dall’università ma questo nelle grandi città, come Kansas City, non succede.
Se dovessi cercare lavoro al di fuori degli States dove vorresti andare?
L’Italia è l’ultima spiaggia, voglio prima conoscere il mondo. Andrei a cercare in Canada anche perché mia madre ha la cittadinanza canadese e poi credo in Inghilterra per la questione linguistica.
Alessandro Leone