nni fa ci lasciava l’ultima abitante di Rocca Caramanico. Come nel caso di Valle Piola questo piccolo borgo abruzzese si trasforma in un rudere spettrale che raccoglie storie di cui forse nessuno saprà alcunché. Nel nostro contesto globalizzato, dove il tasso di urbanizzazione continua ad aumentare vertiginosamente, a volte la desolazione ci pare non solo atipica ma addirittura una valvola di sfogo con cui puntiamo perlomeno a staccare temporaneamente dalle nostre vite frenetiche. Questo gli abruzzesi, immersi nella natura, circondati quasi costantemente dal panorama, lo sanno molto bene. Anzi, si può quasi sostenere che il basso livello di urbanizzazione sia la fortuna della regione e aiuti a preservare il panorama intatto. Ma così come nel resto d’Italia, molti abruzzesi si muovono verso le “grandi città” e altrettanti verso altre regioni. Nei borghi restano anziani destinati a chiudere la storia del loro paese e a dichiarare la fine della (loro) comunità.
Rocca Caramanico e Valle Piola sono solo i primi due campanelli d’allarme. Se consideriamo la quantità di borghi tra i 50 e i 150 abitanti, l’Abruzzo conduce questa singolare battaglia accettando il suo destino. In questo senso rappresenta un microcosmo della nostra epoca globalizzata, in cui lo stanziamento in un territorio si misura in termini di opportunità e non di contatto umano. Il termine “radici” si fa obsoleto e assume un connotato negativo di fronte all’attitudine cosmopolita che invece tende a sradicare. C’è poi chi lo fa dolorosamente, chi si sente costretto a farlo e chi non vede l’ora di farlo privandosi altresì dell’opportunità di valutare alternative. Non resta dunque che rivalorizzare la cultura perduta di una regione affidandosi alla sua valorizzazione e di conseguenza all’attrazione di sguardi esterni.
Da questo punto di vista Rocca Calascio è un caso emblematico. Situata a 2000 metri d’altezza, il castello, i suoi ruderi, le chiese e il relativo borgo ci trasmettono per davvero una sensazione di vastità che travalica la desolazione per trasformarsi in diretto contatto con la storia e la natura. Ancora meglio se a prendersene cura sono i circa 130 abitanti di Calascio che sorge duecento metri sotto il promontorio. Il percorso è facile e suggestivo, permette di attraversare prima il borgo con le case in pietra ora trasformate in osterie e agriturismi per poi imbattersi nei ruderi del castello medievale, sorto attorno al 1200 con la funzione di avvistamento. Durante la salita, la vallata si espande progressivamente fino a perdita d’occhio, senza alcun orizzonte. Poco sotto il castello sorge la Chiesa di Santa Maria della Pietà, edificata nel 1596 dagli abitanti per festeggiare la vittoria su alcuni banditi espatriati dallo stato pontificio. Ecco le testimonianze dirette che ci restituiscono lo sguardo dei vecchi abitanti di fronte alla loro vallata sempiterna. Sicuramente, come si può osservare dalle foto, il luogo è privilegiato, unico nel suo genere, tanto da ispirare Hollywood per le riprese di Ladyhawke e Il Nome della Rosa. Il fatto che la si sia scelta, nonostante la sua posizione, l’altitudine e la condizione delle strade per un set cinematografico è significativo, non solo per la suggestione immaginifica ma soprattutto per il potenziale e la fama che ha aiutato a perpetuare il nome della Rocca al di fuori di una regione sottovalutata.
Rocca Calascio dunque è un chiaro esempio di come la conservazione passi anche attraverso il turismo, quello che punta sull’autentica anima di un territorio e non sui servizi inflazionati. Per fare questo sarebbe sufficiente promuovere eventi culturali direttamente nei siti, organizzare pacchetti turistici in ogni provincia che includano la civiltà dei borghi, la natura delle vallate e la cultura del folklore e della gastronomia perché ogni luogo ha una storia da scoprire, resta solo da capire come sviluppare un contatto.
di Alessandro Leone