Come annunciato una settimana fa [LEGGI QUI], ieri, lunedì 28 maggio, i sindacati confederali e la rsa della Honeywell di Atessa hanno manifestato a Roma, dinanzi la sede del Mise, dopo che lo stesso Ministero del Lavoro ha bocciato la cassa integrazione richiesta per i circa 400 lavoratori del sito della Val di Sangro.
“La vertenza Honeywell è tristemente esemplificativa della impotenza e della contraddittorietà delle Istituzioni italiane, che prima non sono riuscite in nessun modo a scalfire la decisione della multinazionale di chiudere il sito abruzzese e ora stanno perfino negando la cassa integrazione, vanificando in pratica la speranza di evitare i licenziamenti attraverso quella reindustrializzazione che era stata caldeggiata a parole dallo stesso Governo”. Lo dichiara Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm responsabile dei settori auto ed elettrodomestici, durante la protesta dei lavoratori della Honeywell a Roma.
L’incontro ha prodotto un verbale nel quale le parti hanno convenuto alcune iniziative in preparazione dell’incontro del prossimo 4 giugno sempre al Mise.
Per Michele De Palma, segretario nazionale Fiom, e Davide Labbrozzi, segretario della Fiom di Chieti, “i lavoratori della Honeywell hanno diritto ad avere certezze sul lavoro e la reindustrializzazione. È utile che siano stati confermati gli impegni presi con la sottoscrizione dell’accordo dello scorso febbraio con il Mise. Riguardo la reindustrializzazione dello [mar_dx] stabilimento di Chieti e la copertura con gli ammortizzatori sociali abbiamo chiesto ulteriori verifiche da fare con l’azienda, il miSe, Invitalia, il ministero del Lavoro e la Regione Abruzzo, che saranno presenti al prossimo incontro. Ora – proseguono – è necessario accelerare nella reindustrializzazione, valutando le ipotesi già emerse e le realtà che si sono fatte avanti, al fine di tornare a produrre prima possibile in quello stabilimento, reimpiegando gli oltre 400 lavoratori oggi fermi. Infine – concludono De Palma e Labbrozzi – va sottolineato che tutto questo è l’effetto di leggi sbagliate come il ‘Jobs act’, che ha scardinato il sistema di ammortizzatori sociali, e di leggi mai fatte che potrebbero impedire le facili delocalizzazioni di aziende per le quali l’unica voce che interessa è il profitto”.