Smartphone con multi-touch, pinch-to-zoom e web browser per i nati dagli anni ’90 in poi, cellulare per i nati dagli anni ’60 in poi, telefonino per tutti quelli nati prima. In ogni caso e per tutti, uno strumento capace di non farti sentire mai solo, il giorno come la notte. Attrezzo per comunicare che, con il passar del tempo, è diventato condizione, quale misura di un prezzo richiesto, per vivere.
Così accade che una paziente dell’ospedale Cardarelli di Napoli, decisa a scoprire l’origine delle sue forti emicranie, nel sottoporsi, con urgenza, ad una TAC nel reparto neuroradiologia, non riesce a far a meno di una telefonata proprio mentre l’apparecchio sanitario e tutti i dispositivi medici sono in azione. Ne viene fuori un’immagine radiografica propria di un film di fantascienza, laddove, di questa cyber persona, s’individua il cranio col telefonino (sono nato prima del ’60…) sull’osso temporale.
Un’impellente esigenza quella della signora, forse la necessità di raccontare, ad amici e parenti, le fasi dell’importante esame diagnostico e delle proprie derivanti sensazioni, minuto per minuto, attimo per attimo. Un prezioso fotogramma dei nostri tempi che documenta la nuova e moderna dipendenza.
Probabilmente, è un caso eccezionale quello accaduto nell’ospedale napoletano ma la nostra resta comunque una quotidianità subordinata al costante uso degli apparecchi tecnologici in genere e dei cellulari (mi tolgo qualche anno…) nello specifico. Il fenomeno riguarda, ormai, un po’ tutti, adulti e ragazzi, genitori e figli, ma sono soprattutto gli adolescenti ad esserne preda e schiavi.
Naturalmente, il tema è sorretto da sondaggi. L’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullism ci fa sapere che il 51% dei ragazzi tra i 15 ed i 20 anni controlla il proprio smartphone 75 volte al giorno; il 7% 110 volte. I giovani di questa fascia non riescono a ”staccare” almeno tre ore nel 79% dei casi. Insomma, il rituale compulsivo di controllare lo smartphone (sono tornato al Liceo…) li accompagna anche di notte.
Gli adulti non sono da meno. Il 49% tra coloro che hanno superato il 35 anni verifica l’arrivo di messaggi o altro tipo di notifiche 43 volte al giorno ed il 58% non riesce a non dare una sbirciatina per più di tre ore.
C’è poi chi è affetto da: “Nomofobia”, l’impanicarsi per non avere con sé il cellulare e non poterlo così controllare; “Fomo”, l’ansia e la preoccupazione di perdere l’opportunità di interagire con qualcuno o qualcosa; “Vamping” (sindrome del vampiro), il rimanere svegli tutta notte per twittare, smessaggiare o postare.
Si è troppo spesso superficiali nel considerare, in fondo, innocue queste condotte o nel giustificarle perché tanto, ormai, tutti fanno così. Prima, ci si omologa a comportamenti proprio perché comuni e poi comune diventa il pensiero da essi veicolato e tendente alla formazione di una personalità plasmata nel digitale ed anch’essa omologata.
La dipendenza dalla tecnologia passa per il desiderio e per il bisogno di “condividere”, astraendo gli attori dalla realtà vera per proiettarli in quella virtuale, laddove il pensiero si alimenta in modo esponenziale, spesso superando il limite della verità oggettiva per assumere valore di vera verità.
Diventa così indispensabile recuperare spazi di socialità e relazione diretta e “carnale”, in famiglia, nella scuola e tra amici. E’ necessario che, soprattutto i ragazzi, tornino a vivere appieno la realtà che permette la connessione del pensiero indipendente e proprio, libero dai condizionamenti veicolati dalla tecnologia ossessiva gestita da chi ne fa artatamente uso per giungere a denominatori comuni ai quali, col tempo, ci si abitua ed in cui ci si riconosce assumendo contorni identitari senz’anima, disconnessi dalla realtà vera.