”My gladiator lay down his shield and gained his wings absolutely heartbroken. I love you my guy”. Il mio gladiatore appoggiò il suo scudo e conquistò le sue ali assolutamente affranto. Ti amo mio ragazzo.
Così Tom, padre di Alfie, ha salutato il suo bimbo di 23 mesi. Lo ha fatto con un post su Facebook, dandone notizia al mondo.
S’inserisce in questo modo, tra le notizie di questi giorni, quella di un dramma che è impossibile considerare privato. Tra il ping pong degli attori nella formazione del nuovo Governo ed il thrilling del campionato di calcio, così come tra la promessa “Era di pace” delle due Coree e i dazi americani, non passa inosservata la vicenda di una vita a cui è stato deciso di poter rinunciare in forza di una sentenza di giudici inglesi.
Alfie era ricoverato, da quasi un anno e mezzo, in un ospedale di Liverpool; terribile la diagnosi che individuava una grave malattia neurologica degenerativa. Attorno a Lui, l’attenzione e la considerazione non soltanto dei medici ma anche di personalità di governo, di ecclesiastici e di giuristi. Un bimbo inconsapevole al centro di una battaglia legale e di una disputa dai tanti aspetti: sanitari, etici e politici.
Certo Alfie la Sua non avrebbe potuta dirla e, per Lui, soltanto i genitori hanno avuto possibilità di esprimersi. Naturalmente, per la Sua permanenza in vita. Già, “naturalmente” o, per meglio dire, secondo natura. Ma la legislazione inglese non riconosce il diritto naturale alla vita, così come non riconosce “assoluta” la patria potestà ed è la magistratura a vedersi attribuita la difesa degli interessi dei minori, qualunque sia la volontà dei genitori, fino ad esprimersi circa il diritto ad una fine da loro ritenuta dignitosa.
Ed è così che, dai magistrati inglesi ed anche dai medici, qualsivoglia tentativo di prolungare, con mezzi artificiali, la Sua esistenza e permanenza al mondo è stata ritenuta inutile. Soltanto la morte avrebbe potuto rappresentare il “miglior interesse” per Alfie, poiché il danno cerebrale è stato ritenuto irreversibile, la Sua condizione non curabile, il Suo futuro, in stato semi-vegetativo, possibile soltanto grazie ad una macchina. Nonostante la battaglia dei genitori condotta in tutti i gradi di giudizio, con l’ultimo verdetto della Corte suprema inglese e persino della Corte europea per i diritti umani, è stato decretato l’addio al mondo.
I medici hanno espresso il loro cordoglio “dal profondo del cuore alla famiglia di Alfie in questo tempo di estrema angoscia”. Riconoscendo “devastante il loro viaggio”, hanno poi chiesto il rispetto della loro privacy e della privacy dello staff dell’ospedale “Alder Hey”.
Forse, c’è chi è disposto a ritenere che la scomparsa di Alfie rappresenti, oggi, un problema in meno per la Sua famiglia; forse, c’è chi pensa che, alla Sua incoscienza, altra risposta non ci sarebbe potuta essere che quella determinata dalla coscienza di medici e magistrati, gli unici ad avere piena contezza del Suo stato; forse è solo una leggenda quella che narra come, nell’antichità, sul monte Taigeto, venissero abbandonati i bambini spartani nati deformi e destinati a soccombere alle intemperie e alle belve. Già, alle belve.