Si muovono ancora le macerie prodotte dal terremoto dell’aprile 2009, nella zona dell’aquilano. Tanti i morti, molti i palazzi abbattuti e numerose le attività d’impresa interrotte o cancellate. Fino a qualche giorno fa, tutto ha tremato ancora, mentre la ricostruzione procede lentamente. Nel 2013, si stimavano necessari altri 10 anni e 10 miliardi di Euro. L’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) ha denunciato il ristagno nella ricostruzione: mille operai in meno nei cantieri nel 2016 e duemila nel 2017, “Nodi burocratici da anni non trovano soluzione nonostante i solleciti, i lunghissimi confronti, i rimandi e le costose consulenze di esperti”.
Oltre al dolore per i morti, oltre ai tanti edifici e strutture antiche crollate, situazioni che più di altre la cronaca consegna per l’emozione di tutti, quel che resta da ricostruire è un tessuto economico fino a qualche anno fa costituito dalle tante imprese che in quella zona dell’Abruzzo operavano. E’ tramite queste, infatti, che sarà possibile ricostituire nuovi equilibri che consentano, realmente, la ripresa della vita nell’aquilano ed inverta la tendenza allo spopolamento.
In una situazione simile, parrebbe logico e legittimo, oltre che indispensabile, l’intervento dello Stato a sostegno delle aziende ed invece è l’Unione Europea a mettersi di traverso, sentenziando che gli incentivi alle imprese rappresentano “Aiuti di Stato” e quindi, lì dove concessi, andranno restituiti al 100% poiché non in linea con l’articolo 108 del gtrattato sul funzionamento dell’Ue. In definitiva, è l’Europa ad impedire all’Italia di aiutare le imprese dislocate sui territori terremotati e, quindi, secondo la Commissione europea, le tasse a loro carico, il cui pagamento è stato sospeso, vanno restituite, pagate.
Si calcola che la richiesta restituzione coinvolga oltre 300 imprese e persone fisiche, per un ammontare di circa 75 milioni di Euro. Molti dei soggetti chiamati all’adempimento non dispongono di queste somme, ne deriverà il loro fallimento o non potranno più partecipare a Bandi pubblici e, comunque, andranno persi centinaia di posti di lavoro. Il tutto nella considerazione del fatto che quelle imprese avrebbero usufruito, grazie agli aiuti, di… “vantaggi competitivi”, come se il tracollo dell’economia, causato del terremoto, non rappresentasse uno svantaggio competitivo da colmare.
Il principio che sostiene la normativa europea è quello per cui il sostegno dello Stato, con denaro pubblico, permetterebbe alle imprese beneficiarie un indebito vantaggio nei confronti dei concorrenti di altri paesi dell’UE: ne risulterebbero falsati libera concorrenza e commercio. Lo Stato può intervenire soltanto nell’interesse generale dell’economia e della società ed è alla Commissione europea che spetta il compito di impedire che avvenga altro.
In definitiva, lo Stato non può concedere sovvenzioni, prestiti agevolati, trattamenti fiscali favorevoli, garanzie, partecipazioni al capitale, cessione di beni o servizi a condizioni preferenziali soltanto a favore di una o più imprese; non può intervenire se l’aiuto incide sul commercio tra Paesi dell’UE o se ne deriva un vantaggio per determinate imprese situate in determinate zone, così come non può farlo se la concorrenza ne risulta falsata, subito o per il futuro. E’ la Commissione europea che decide, caso per caso, ed è lo Stato membro che dovrà dimostrare quanto gli interventi siano compatibili con il mercato comune.
Sono, invece, consentiti (perché nell’interesse comune dell’UE) gli aiuti per assistere o promuovere le zone svantaggiate, le piccole e medie imprese, la ricerca e lo sviluppo, la protezione dell’ambiente, la formazione, l’occupazione o la cultura.
Naturalmente, c’è un regime di sorveglianza su quello che fanno i singoli Stati e se, attraverso proprie indagini o a seguito di denunce di imprese o di cittadini o anche dai mass media, la Commissione viene a conoscenza di aiuti “illegali”, ne ordina la cessazione ed il recupero.
Tra le disposizioni contenute nell’Art. 108 del trattato sul funzionamento dell’UE, ve n’è una che stabilisce che, a richiesta di uno Stato membro, il Consiglio dell’Unione Europea può decidere che un aiuto concesso o da concedere, sia compatibile, in deroga, con il mercato. Questa decisione deve però essere presa all’unanimità!
Tornando a L’Aquila, cosa c’è di diverso tra l’aiuto alle imprese per assistere o promuovere le zone svantaggiate (cosa lecita) e l’aiuto alle imprese della zona terremotata (cosa illecita)? Non è forse causa di svantaggio un terremoto distruttivo? O forse l’intervento per L’Aquila non è ricompreso tra quelli attuati nell’interesse comune dell’UE?
Quale sorta di principio, laddove non appare essere certo quello della solidarietà, sovraintende le attività della Commissione Europea? Come si fa a non ritenere svantaggiata una zona del territorio d’Europa in cui le imprese hanno la indiscussa necessità di ripartire, essere ricostruite e sostenute, incoraggiate nel mantenere posti di lavoro e che sono o erano lì a sorreggere un’economia spazzata via dal terremoto?
Non è questa l’Europa che serve ai suoi Popoli, quella della burocrazia che, per decidere su casi come quelli de L’Aquila, vuole l’unanimità ma che nulla fa e può fare se un suo Stato membro decide, autonomamente, di bombardare la Siria…
Un’altra pagina vergognosa dell’Europa matrigna.