“Ora serve rottamare un modo di fare politica e una classe dirigente inadeguata ed autoreferenziale”. Così Gabriele Marchese, ex sindaco di San Salvo e fondatore della lista civica San Salvo democratica, commenta i risultati delle elezioni politiche del 4 marzo.
“Il risultato elettorale del 4 marzo era già scritto, l’esito che avrebbe avuto si ascoltava nelle piazze, nei luoghi di lavoro, di svago, in mezzo alla gente.
Solo chi ha perso i contatti con la realtà, con il vissuto quotidiano delle persone, dei loro bisogni, non è riuscito a percepirlo.
Una sconfitta storica per il centrosinistra nel Paese e ancor di più in Abruzzo.
Un voto che ha premiato la protesta, la voglia di cambiamento, che ha penalizzato il governo.
Le ragioni della sconfitta sono molteplici e non possono essere addossate ad una sola persona, sarebbe molto riduttivo e le sole dimissioni non bastano a risolvere i problemi.
La sconfitta prima che politica della sinistra è culturale, viene da lontano.
Da anni a vari livelli è passata la logica della politica come favore, rispetto a quella del rappresentare e organizzare i bisogni collettivi dei cittadini.
Si è perso contatto con i ceti popolari, con i bisogni delle fasce sociali più deboli, i lavoratori, i giovani.
E’ mancata una visione strategica del futuro, un nuovo modello di società, una politica per il Mezzogiorno.
Sono aumentate le ingiustizie, le disugaglianze, è aumentata la precarietà.
Le sezioni da luoghi di dibattito e confronto sono rimaste chiuse, vengono aperte solo durante le elezioni come comitati elettorali. Si sono tagliate le radici con le nostre storie gloriose, si è rottamato o emarginato chi la pensava diversamente.
Tutto questo in un primo momento ha prodotto consenso, ma oggi ha mostrato i suoi limiti e ne paghiamo le conseguenze.
In Abruzzo il dato è peggiore, mai così in basso e le responsabilità sono evidenti. Una coalizione e un partito ripiegati ai voleri di pochi, con una eccessiva personalizzazione della politica che ha prodotto pessimi risultati. Ora serve rottamare un modo di fare politica e una classe dirigente inadeguata ed autoreferenziale. La chiusura e l’arroccamento che tanti invocano sarebbe la strada peggiore da percorrere.
Bisogna navigare in mare aperto e a vele spiegate. La sfida è quella di ripartire dal basso, dai bisogni della gente, dalle esigenze di cambiamento e di innovazione che la società moderna ci pone, dalla sete di giustizia che emerge sempre di più”.