Fu così che tornai a casa dopo avere vissuto gli straordinari eventi che ho narrato e che – immagino – fatichiate non poco a credere veritieri: io stesso, d’altronde, ho impiegato lunghi anni ad accettare che ciò che ho vissuto in quei mesi sia stato reale.
Per di più, il trascorrere del tempo leniva i tormenti nel riportare alla mia parte razionale i fatti e le circostanze che ho narrato in maniera fedele ed accurata – Dio me ne sia giudice! – e assecondava il desiderio del mio io irrazionale di stemperare nella immaginazione la mia esperienza e confonderla sempre più con un sogno vissuto ad occhi aperti.
Per questo un giorno di inverno, mentre ero in viaggio di lavoro, decisi infine di mettere per iscritto tutto quel che vidi, che vissi, che conobbi durante il mio a dir poco mirabolante viaggio: lo decisi affinché il tempo non sbiadisse ulteriormente i ricordi, offuscandone la vivida conoscenza che ne ebbi; lo decisi perché altri, qualora visitino quel Paese singolare, non ne restino atterriti e sappiano in anticipo quali avventure gliene incolgano; lo decisi, infine, per me stesso e per i miei figli, perché capiscano che quanto in vita mia ho vissuto, ciò per cui ho lottato (e, a volte, perso) valeva davvero la pena di essere vissuto.
Questo, in definitiva, è l’Insegnamento principe che trassi dal mio viaggio: pur di conoscere, non c’è bizzarria che non valga da sé la pena di essere affrontata. Al contempo, tuttavia, conoscere significa anche saper discernere il bizzarro dal concreto, l’illogico dal logico, l’errore dalla giustizia.
Con gli anni, tuttavia, i ricordi tendono anche a sovrapporsi e ad intrecciarsi tra di loro come in un gomitolo avvolto da una filatrice: a poco a poco, nuove spire si adagiano sulle altre, secondo un verso che è sempre diverso da quelle sottostanti, in modo da rendere l’intero gomitolo ben compatto. La filatrice, infatti, sa che se non cambia spesso il verso con cui le avvolge, prima o poi alcune spire si sfileranno e potranno aggrovigliare il filo in maniera irreversibile: per questo ne avvolge alcune, poi ruota il gomitolo nella sua mano e ne avvolge altre; e così fino a quando tutto il filo non sarà esaurito.
Quando, poi, sarà alla fine, ci sarà un’ultima cosa che la filatrice dovrà fare, prima di riporre il gomitolo al suo posto: lei marcherà il capo finale del filo annodandoci un nastrino colorato, di modo che chi si servirà del gomitolo possa individuare facilmente il punto da cui svolgerlo dalla fine all’inizio e trasformarlo in un nuovo, splendido tessuto.
Avendo io, perciò, ripreso dalla cesta della lana un vecchio gomitolo rimasto troppo a lungo coperto dagli altri, mi appresto a tesserlo in una tela partendo dal punto che marcai prima di riporlo, dalla fine di tutto, e dispiegandolo all’indietro fino all’inizio.
[Appuntamento alla prossima puntata con “Lo strabiliante viaggio di Anthony B. Elliott”].
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Elio Bucciantonio è nato a Chieti nel giugno 1967. Ingegnere gestionale, attualmente consulente, vive in Abruzzo, a San Salvo (CH), dove ha scritto la raccolta poetica “Settembre” (Ed. Cannarsa, 1993) e il romanzo “Il mondo perfetto” (Ed. Cannarsa, 2008).