Ventiquattro anni, una laurea in Farmacia a Bologna appena conseguita e un futuro tutto da scrivere. Ma per Maria Vittoria Di Croce, giovane di San Salvo, prima della trafila post-laurea con i colloqui, il cambio di città, l’inizio della sua attività lavorativa c’era da rispondere ad un desiderio che coltivava da un po’ di tempo, quello di vivere un’esperienza di volontariato. E così, dopo aver conosciuto l’associazione Volunteer in the world è iniziato il suo percorso che l’ha portata per un mese in Kenya con l’associazione locale Boundless Love.
Come mai hai scelto questa esperienza?
Avevo da sempre in mente di fare un’esperienza di volontariato internazionale ma devo dire che non mi sono resa conto di cosa stavo vivendo fin quando non sono arrivata lì. In realtà avevo la volontà di andare in Sud America, poi ho visto che c’era questo progetto che cercava laureati nel campo della medicina e quindi mi sono detta “è quello che fa al caso mio”. Il passaggio tra il volerlo fare e il partire davvero è durato lo spazio dei colloqui e del via libera, l’acquisto del volo e la partenza.
In che zona del Kenya sei stata?
Ero a Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi. Ho vissuto con una famiglia, una di quelle poche che nella zona aveva la possibilità di avere una casa in muratura. Quando sono arrivata l’impatto è stato subito molto forte, nel complesso di case dove vivevo c’erano ad ogni ingresso cancelli blindati e guardie armate. Non potevo uscire da sola, venivo accompagnata per ogni cosa ed è stato molto difficile psicologicamente. Per questo il fine settimana prendevo e andavo via da qualche parte insieme ad altri ragazzi che erano lì per il periodo di volontariato.
Da neo laureata come hai trovato la situazione dell’ospedale in cui hai prestato servizio?
Io sono andata lì per l’attività in ospedale e ho vissuto sin da subito una situazione dura. Nel primo giorno nella farmacia dell’ospedale, neanche il tempo di capire dov’ero sono arrivate le persone: primo caso-malaria, secondo caso-malaria, terzo caso-Aids. Ero incredula di fronte alla situazione anche perchè le persone conno la febbre veniva ma non aveva i soldi per acquistare le medicina. Per chi ha la malaria ci sono dei piani terapeutici, che io gestivo nella farmacia, ma che sono a spese loro. Solo i malati di Aids non pagano per le terapie a cui devono sottoporsi per tutta la vita. La mia clinica era a servizio della baraccopoli, costruita da privati e con l’accoglienza sempre di buon grado dei volontari. È una struttura a livello locale con un laboratorio per le analisi, un paio di ambulatori medici per diagnosi e controlli e la farmacia.
[ads_dx]Hai vissuto anche un’esperienza di insegnamento nella scuola. Com’è stata?
Tanti volontari scelgono di fare volontariato nelle scuole perchè è l’esperienza più bella dal punto di vista umano. C’è una forte rotazione di insegnanti perchè la maggior parte sono volontari e si vede subito che quei bambini non hanno continuità. Io insegnavo matematica e vedere che non sapevano fare semplici addizioni o sottrazioni mi ha fatto un po’ male. I bambini sono consapevoli del ricambio continuo di insegnanti perchè quando sono arrivata la prima domanda ricevuta è stata “quando torni?”. Alla mia riposta “domani” mi hanno detto “no, quando torni a casa tua e poi qui?”. Tante volte le classi erano scoperte e mi chiamavano a fare una lezione, anche non capendo bene cosa insegnassi. Ma con i bambini è davvero tutto più semplice.
Nella famiglia che ti ha accolto che situazione hai vissuto?
Non sono riuscita sinceramente a capire bene quale attività facessero. In casa con me c’erano anche un volontario svizzero e uno americano che si occupavano di salvaguardia della fauna. Mi sono resa conto che attraverso queste associazioni locali fai volontariato in tutti i sensi perchè la famiglia prende una quota per l’ospitalità, quindi la presenza degli stranieri è accolta di buon grado. Rispetto alla baraccopoli stavano bene, non c’erano situazioni estreme ma le condizioni igieniche sono molto lontane dalle nostre abitudini. Ma in casa avevo l’acqua corrente, anche se fredda, e tre pasti al giorno.
Dal punto di vista professionale è stato un arricchimento?
Sì, lì ho visto davvero di tutto. Il lavoro in farmacia è molto diverso rispetto a quello che si fa qui in Italia. La malaria per loro è come l’influenza quindi impari a gestire situazione completamente diverse. Hanno un livello basico di medicinali quindi la professione è molto banalizzata perchè devi solo seguire piani standard a seconda delle età. Però, a livello professionale, mi è servito capire come vivono alcune persone.
Dicevi che nei fine settimana hai potuto spostarsi e vedere situazioni diverse. Che impatto hai avuto?
La cosa brutta è vedere come i grandi imprenditori europei hanno investito sulla povertà. Quando sono andata sulla costa mi sono resa conto che lì c’è gente che ha costruito un impero pagando i camerieri meno di tre euro al giorno e questo fa scaturire un guadagno enorme perchè i turisti che vanno in vacanza stanno bene e pagano. Io che ero andata in Kenya con obiettivi diversi sono rimasta un po’ a bocca aperta.
E il ritorno com’è stato?
È stato brutto andar via anche se, a dire il vero, ero esausta. Era pesante vivere in quelle condizioni tra la polvere, le condizioni igieniche, i bambini che andavano a scuola scalzi, poi si mettevano le mani nei piedi e poi ti toccavano. Per me, che sono abbastanza schizzinosa, sono state situazioni difficili ed ero arrivata al mio limite. Però mi sono resa conto di essere stata troppo poco tempo per vedere un cambiamento, per la prima volta ho avuto la sensazione di andar via senza che qualcosa fosse concluso, mi sono sentita dire “io qua lascio qualcosa che rimane fondamentalmente uguale”. Quando si torna e si rientra nei ritmi quotidiani il ricordo rimane ma è anche facile, molte volte, non dico metterlo da parte ma distrarsi in altro modo. Ovviamente questa è un’esperienza che porterò sempre con me e spero, anche se magari in posti diversi, di poter viaggiare e lavorare. Dire che questa esperienza mi ha cambiata sarebbe un po’ parlare per frasi fatte. Però, nella mia consapevolezza di essere una ragazza che si lamenta molto e non è mai contenta, ho iniziato a capire che c’è gente che vive con molto poco e che tutti i problemi che possiamo incontrare noi nella nostra vita quotidiana non esistono perchè per loro la domanda da farsi ogni giorno è se la sera avranno qualcosa da mangiare.
Se qualcuno volesse fare un’esperienza simile quale consiglio daresti?
Prima di partire non si è pienamente consapevoli, bisogna essere pronti a tutto, a livello di spirito di adattamento ad ogni situazione. Ad esempio io la notte non dormivo mai tranquilla, il mio pensiero fisso era “se mi dovesse succedere qualcosa a chi mi rivolgo?”. E, infatti, quando sono tornata a casa, tra la stanchezza e il rilassamento ho dormito 24 ore di fila!