Non credo che Alessandro Manzoni, nel 1816 e con la sua tragedia, riflettesse se fare del Conte di Carmagnola un fascista o un comunista; certo, però, da buon democristiano ante litteram qual era, non esitò a farne paladino di una politica avversa agli opposti estremismi.
Oggi, ragionare in termini di estremismo opposto induce alla narrazione di cose e fatti di circa 40 anni fa, anni che i nati dagli anni ’80 in poi non possono neanche ricordare. Eppure, almeno in gran parte, era stata questa contrapposizione, tipica del dopoguerra, ad alimentare le fortune del cosiddetto centro moderato: né di qua né di là, nel mezzo. Negli ultimi anni, sembrava non aver più alcun senso offendere l’avversario politico qualificandolo “comunista” o “fascista” e l’oltraggio più grande, rivolto a chiunque oggi faccia politica, è diventato l’insulto: “siete tutti uguali!”; così mortificando chi sente, in cuor proprio, di essere realmente diverso.
In politica, si ha bisogno vitale di un avversario e, soprattutto nelle fasi economiche e sociali in cui le cose vanno male e non mancano scandali, permettere la radicalizzazione dello scontro tra “uguali” e sedicenti “diversi”, è fatto molto pericoloso in termini elettorali, sia per chi governa che per chi fa opposizione. “Tutti a casa” è quindi diventato il grido di battaglia, lo slogan più sciocco della storia.
Riaccendere lo scontro politico tra Guelfi e Ghibellini o tra i Borbone ed i Savoia sarebbe stata impresa troppo ardita ed allora, se proprio devono essere oliate cerniere arrugginite, si riesumino dagli armadi impolverati i temi dello scontro di tempi meno lontani: Fascismo/Antifascismo; altro che pacificazione nazionale chimera del dopoguerra! Recita bene l’occhiello ad un articolo di commento alla manifestazione di Como del Corriere della Sera: “l’antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo fare ai politici in campagna elettorale”. Già, perché a Como c’erano tutti, dagli ex democristiani di sinistra alla sinistra vera, tutti alla ricerca di un collante dopo le divisioni in partiti e partitini.
Ben altre vicende hanno contraddistinto gli “anni di piombo” della decade ’70, altro che una decina di ragazzi che urlano sventolando bandiere con simboli runici, agitando fumogeni e leggendo proclami! Sarebbe questo il pericolo fascista e la “marea nera” da fermare? E continua l’articolo del citato quotidiano: “Bella Ciao e Calamandrei sono patrimonio della nostra Repubblica, ma in assenza del fascismo contro cui quelle bandiere furono alzate rischiano di essere usati come strumenti di una battaglia politica partigiana sì, ma non nel senso buono”.
In politica, è una vecchia tattica quella di rilanciare la propria immagine riproponendo la pericolosità degli avversari: la squilla d’allarme per la difesa dei principi sacri e l’uso delle più comuni parole d’ordine al fine di rinsaldare le fila contro il nemico, ipotizzando, nel caso specifico, chissà quale reviviscenza fascista. La stessa tattica utilizzata, anni fa, dal liberista Berlusconi per far fronte… al pericolo comunista.
Se questi sono i riproposti metodi per vincere elezioni, è il senso del far politica a naufragare ancora. Sono metodi con cui si inventa, per poi ingigantirlo, uno scontro di cui l’Italia non ha certo bisogno.
Se vengono commessi reati in nome di un’idea politica, si condannino i colpevoli, perché questo fa uno Stato che si dichiara democratico; rinfocolare, invece, temi di contrasto consegnati alle pagine della storia significa esasperare “neri” e rossi” e riprodurre spirali d’odio. Nessuno vorrebbe che si ripetesse, in nome di ideologismi,
quanto accaduto negli “anni di piombo”, almeno che non si voglia prossimo Presidente del Consiglio il Conte di Carmagnola (il quale, tra l’altro, morì decapitato).