Da tempo, ormai, si fa un gran parlare di “Industria 4.0”: aziende in primis, ma anche professionisti, ricercatori, enti pubblici si confrontano e sono propositivi verso questo nuovo trend che dovrebbe rivoluzionare l’industria italiana tradizionale e traghettarla verso una nuova fase di rilancio.
“Dovrebbe”, appunto.
Ma andiamo con ordine: in cosa consiste “Industria 4.0”?
Si tratta di una visione olistica dell’azienda – anche se non proprio nuovissima – che si basa sulla acquisizione di numerosissimi dati, gran parte dei quali normalmente ritenuti non interessanti nella visione tradizionale, che vengono elaborati statisticamente per individuare tendenze significative e prevenire problemi (vale a dire costi) nell’attività.
Ad esempio: al giorno d’oggi, una azienda di trasporti tradizionale ha certamente dei GPS installati sui propri automezzi e riesce, quindi, a capire dove si trovino e a che ora dovrebbero arrivare a destinazione. Una azienda “Industria 4.0”, invece, potrebbe pianificare di leggere in tempo reale lo “stile di guida” del singolo autista (accelerazioni, decelerazioni, consumo di carburante), le temperature del motore, la pressione degli pneumatici, i giri del motore ecc. Tutti questi dati, acquisiti in continuo ed elaborati statisticamente, fornirebbero ai tecnici dell’azienda preziosissime informazioni sull’efficienza del singolo automezzo e sui suoi consumi, statistiche che consentirebbero di prevenire fermi meccanici, ottimizzare l’utilizzo del carburante, ridurre i costi di gestione di ogni singolo automezzo. Tutto questo passa attraverso tecnologie di acquisizione dati (sensori intelligenti) e software di gestione che li interpretano e li rendono disponibili in qualsiasi momento ai vari responsabili dell’azienda sui loro smartphone, PC, tablet.
Naturalmente, c’è un rovescio della medaglia; anzi, più di uno.
Per cominciare: chi decide quali dati acquisire? Per questo occorrono tecnici esperti e competenti, con specializzazioni non banali, altrimenti si corre il rischio di investire soldi per leggere informazioni inutili.
A seguire, bisogna che l’azienda abbia anche del personale specializzato nella aggregazione di questi dati e nella loro interpretazione corretta; anche in questo caso, parliamo di competenze affatto banali.
Per finire, questa “visione”, questa scelta di indirizzo deve riguardare tutta l’azienda nel suo complesso e non solo alcune aree: ad esempio, che senso avrebbe se la nostra ipotetica azienda di trasporti ottenesse alcuni automezzi in versione “Industria 4.0” e gli altri no?
Mi chiedo, a questo punto: quante realtà aziendali italiane hanno competenze e risorse per sposare realmente la visione “Industria 4.0”?
Diverse aziende stanno procedendo a modernizzare i propri macchinari, installandone di nuovi, predisposti ad essere impiegati nell’ottica di “Industria 4.0”; queste di esse – mi chiedo – lo faranno sul serio? Interfacceranno realmente i propri sistemi informatici per conoscere quante rotazioni e quanti spostamenti ha fatto il nuovo, modernissimo robot appena installato? E, nel caso lo facciano, saranno in grado davvero di leggere ed interpretare efficacemente tutti questi dati?
“Industria 4.0” è una visione veramente impegnativa, che richiede non solo investimenti in macchinari ma, ancor più, nella formazione di personale tecnico di livello adeguato. Sopra ogni altra cosa, richiede che l’azienda abbia maturato l’esigenza di conoscere e rivedere le proprie attività in un’ottica completamente nuova rispetto al passato.
Su questo, onestamente, vedo ancora troppo poco per esserne ottimista.
Chi lo giudicherà? Lo faranno i risultati: se le recenti aziende “Industria 4.0” utilizzeranno le nuove tecnologie installate per rivedere e migliorare realmente le proprie attività, ne otterranno anche benefici in termini di competitività e di maggiori utili; viceversa, “Industria 4.0” rischierà di rappresentare semplicemente una nuova cattedrale nel deserto per l’industria italiana.