Il doppio disco di platino ricevuto da Fabio Fazio a Che tempo che fa su Rai Uno è stato sicuramente l’apice di un’estate vissuta da Ketra, nome d’arte di Fabio Clemente, sulla cresta dell’onda con L’esercito del selfie. Ma, dietro al brano firmato insieme a Takagi (alias Alessandro Merli), ci sono anni di gavetta e passione per la musica che affondano le radici nel tempo e danno valore al percorso costruito dal 31enne musicista vastese. Un cammino che abbiamo ripercorso insieme a lui approfittando del suo rientro a casa per ricevere un premio da parte della sua città.
Dove nasce il tuo amore per la musica?
Mia madre ha sempre ascoltato buona musica come Queen, The Doors e artisti di quel livello e, sin da bambino, in macchina li ascoltavo sempre. Sicuramente è in quegli anni che mi sono innamorato della musica. Poi, da più piccolo della casa, rubavo i cd ai miei fratelli e per fortuna anche loro avevano ottimi gusti musicali.
Nel tuo percorso quando hai iniziato a capire che la musica poteva diventare il tuo lavoro?
La musica la devi amare ad un primo impatto. Non ho mai pensato di dover fare musica perchè dovevo viverci. All’inizio di un percorso devi sempre divertirti e farlo perchè stai bene. Ho iniziato anche con Jakka, da Cesare Marocco, per vedere come lavoravano loro e da lì ho iniziato a realizzare cose mie. Dopo le superiori sono andato a Roma, ho studiato per due anni fisica acustica alla Saint Louis College, ho preso il diploma e ho iniziato a frequentare il giro dei musicisti. Tra i vari incontri c’è stato quello con Angelo, Biggie Bash, che all’epoca aveva un gruppo hardcore. Ci siamo uniti e abbiamo iniziato a fare reggae. In una camera di 10 metri quadrati, con attrezzature sparse ovunque, abbiamo iniziato a fare i primi pezzi. Alla gente piaceva e così, di fatto, è nato il primo disco dei Boom Da Bash, gruppo che è nato con noi due e altri due ragazzi salentini ed è diventato sempre più una cosa seria fino ad arrivare dove siamo oggi. La mia gavetta è stata fare il commesso in un negozio la mattina e poi la sera chiuso in studio a produrre brani. Sono stato a Milano una prima volta e poi tornato a Roma. Fino a quando sono tornato di nuovo a Milano perchè volevo provare a fare un mio percorso oltre quello del gruppo e ho incontrato Takagi.
[ads_dx]Un incontro importante visto quello che state realizzando. Come vi siete trovati?
Avevo fatto un pezzo con Luca Dirisio e siamo andati ad una data di Radio Norba dove c’erano anche i Gemelli Diversi. Lì Luca mi ha presentato Takagi, per qualche mese ci siamo scambiati email con le nostre idee e i nostri progetti e la prima volta che ci siamo trovati insieme in studio abbiamo fatto il pezzo che ha vinto Sanremo Giovani (Nu juorno buono di Rocco Hunt, ndr). Era destino che il sodalizio funzionasse.
In un brano cosa fa il produttore?
Il produttore vecchia maniera assemblava solo quello che gli veniva dato. Oggi i produttori fanno tutto, dal testo alla musica, creano di fatto una canzone. Noi facciamo delle sessioni di scrittura con un team, la Universal Publishing, in cui ci sono anche Tommaso Paradiso (The Giornalisti), Calcutta. Per me il team è fondamentale, credo che sia prezioso coinvolgere tante persone in un progetto per arrivare a un risultato di qualità.
Hai fatto anche produzioni da solo, come le sigle e gli spot per Mtv. Come sono nate queste opportunità?
Il bello di stare a Milano è il poter conoscere davvero tante persone. In un aperitivo ho incontrato una persona che lavorava ad Mtv, alla fine della serata mi ha chiesto di inviargli dei brani e sono piaciuti. Milano è una città che se sei bravo ti premia.
C’è un momento in cui ti sei detto “ce l’ho fatta?”.
Il momento in cui ti senti soddisfatto c’è sicuramente. “Ce l’ho fatta” ora non riesco a dirlo perchè, prima di tutto, non è come una volta che con una canzone stavi bene tutta la vita. Adesso devi sempre stare in studio a lavorare e produrre nuove cose. Di certo posso dire di essere contento per aver fatto di una passione il mio lavoro.
Con L’esercito del selfie avete creato un’alchimia tra diversi elementi, tra brano, interpreti e video, che ha portato al successo. Come ci siete arrivati?
Abbiamo fatto una session con Tommaso Paradiso perchè dovevamo scrivere un altro brano che, dopo 5-6 ore, non abbiamo scritto. Mancava mezz’ora al termine che ci eravamo dati e gli abbiamo fatto sentire la base che avevamo. Lui si è steso a terra e in venti minuti ha scritto un testo che ci è piaciuto da subito. La cosa che credo abbia funzionato è l’aver messo insieme un testo del 2017 con una musica anni ’60. Una sorta di cortocircuito che ha catturato l’attenzione del pubblico. Anche la scelta di non avere nel video Lorenzo Fragola è stata voluta sin da subito. E anche Takagi e io, che l’abbiamo firmato, appariamo solo alla fine come addetti alle pulizie dello studio. È stato anche un modo per rappresentarmi per come mi definisco, un “artigiano della musica”.
La presenza di Pippo Baudo era già una sorta di ‘benedizione’.
L’idea dell’ambientazione del video, con la ricostruzione del set di Studio Uno, è stata subito accolta dalla Sony. Nel giro di un’ora abbiamo avuto l’ok di Baudo alla sua presenza nel video. E ci ha portato davvero fortuna!
In questi anni, collaborando con tanti artisti, ha collezionato tanti dischi d’oro e di platino. Però riceverli in prima serata su Rai Uno quanto è stato bello?
È stato emozionante, poi dopo Ennio Morricone ha avuto un valore incredibile. Lui è “la musica”, è stato davvero un onore essere sullo stesso ‘palco’ dopo di lui. Quando accadono queste cose non riesco neanche a rendermi conto bene, mi sembra di essere un sogno. Penso si sia vista la mia emozione. Essere in prima serata sulla Rai, da Fazio, dopo Morricone. Ho vissuto davvero delle grandi emozioni.
E ora cosa ci aspettiamo per i prossimi mesi?
Per scaramanzia non dico niente ma stiamo lavorando tanto e sicuramente usciranno delle cose. Più come produttori, per ora come artisti in ‘prima linea’ ci siamo fermati qua. Ci siamo divertiti a fare questo brano ma la nostra scelta è quella di lavorare dietro le quinte. Tra le cose che ho amato di più è vedere i bambini che ballavano sul nostro brano. A qualcuno può far storcere il naso ma i bambini sono diretti, non hanno pregiudizi.
Il tuo nome d’arte, Ketra, cosa vuol dire?
Vuoi saperlo? Non vuol dire niente. Alle superiori mi piaceva disegnare ed erano le uniche lettere che mi uscivano bene e l’ho scelto. Però suona bene, no?
Il tuo legame con Vasto è forte. Pur facendo base a Milano e girando tanto, appena puoi torni qui. Cosa rappresenta questa terra?
Crescere in una città come Vasto ti offre la possibilità di stare a contatto con tutte le persone, da quelle brave a quelle brutte. Ti fa fare tanta esperienza di vita e, quando vai una città grande, hai una marcia in più. Qui nasce la voglia di andare a cercare qualcosa di tuo. Da questa città, dal suo mare, ho avuto tantissimi stimoli. Chi nasce in una città vive il suo quartiere, qui sei a contatto con tutti. Se ci pensi da qui sono partite tante persone che hanno creato qualcosa di bello e importante e che hanno fatto anche conoscere il nome di Vasto.