Questa settimana si è tenuto a Vasto il Convegno Internazionale di Studi Bridges Across Cultures, che ha visto la partecipazione di 52 docenti provenienti un po’ da tutto il mondo. Gli organizzatori americani hanno scelto la nostra città perché… è la città di Gabriele Rossetti. Niente mare, niente sole, niente brodetto. Piuttosto Gabriele Rossetti.
Gabriele Rossetti… Chi era costui?
Ovviamente, tutti risponderanno: “Quello che sta lì a leggere in piazza”. Viene quasi da pensare che Gabriele si chiami Rossetti perché gli hanno fatto la statua proprio in piazza Rossetti. Invece è lui che ha dato il nome alla piazza, ma non solo. Alla scuola, al teatro e ad un sacco di altre cose. Insomma, a Vasto abbiamo mezza città intitolata a Gabriele Rossetti e, sostanzialmente, non sappiamo il perché.
La cosa più curiosa della figura del Rossetti è andare in giro per il mondo e scoprire che è molto più conosciuto e stimato all’estero che in Italia. Bella forza, direte. Rossetti ha vissuto per circa 30 anni a Londra e lì, con la figlia del segretario di Vittorio Alfieri, anch’egli esule in Inghilterra, ha avuto 4 figli, tutti artisti e letterati, di cui 2 divenuti particolarmente celebri. Gabriel Charles Dante Rossetti, in arte Dante Gabriel, principale esponente della corrente dei Preraffaelliti, e Christina, poetessa romantica, antesignana del femminismo e del pacifismo in un’epoca nella quale questi temi erano ancora di là da venire.
Sì, d’accordo, i figli sono stati importanti e, a tutti gli effetti, hanno un ruolo di primo piano nella pittura e nella letteratura inglese dell’800. Ma Gabriele? Perché tutti questi monumenti, questa toponomastica, questa presenza ricorrente nella nostra vita quotidiana, se a scuola non si studia neanche una sua poesia?
Questo me lo sono chiesto per anni e l’ho anche chiesto ad altri, ricevendo la classica risposta “Rossetti era un poeta neoclassico, diventato famoso per aver partecipato ai moti risorgimentali”. In effetti, qualunque fonte andassi a consultare, iniziava sempre nella stessa maniera: – Gabriele Rossetti, soprannominato il “Tirteo d’Italia” -. A parte il fatto che dire di uno che fosse un “Tirteo” non è che mi chiarisse le idee più di tanto, ma, anche volendo approfondire la biografia del Rossetti, veniva sempre fuori questo aspetto di verseggiatore patriottico (in effetti Tirteo era un poeta spartano del sesto secolo a.C., uno che scriveva robe tipo “Giacere morto è bello, quando un prode lotta per la sua patria e cade in prima fila”).
Anche Rossetti pensava cose tipo “Quant’è bello morire accoppato”? Non sarebbe così strano, vista l’epoca. In quegli anni, tutta l’Europa era invasa dal furore scatenato dalla Rivoluzione Francese e, poi, dalle guerre napoleoniche. Era finito il secolo delle “guerre in merletti”, quel Settecento in cui nulla sembrava poter cambiare, ed era iniziata l’epoca dei grandi rivolgimenti, che avrebbe sostituito il concetto di Patria a quello di Dinastia e messo a soqquadro l’intero continente per i successivi 150 anni.
Anche in Italia, quindi, c’erano molti giovanotti che desideravano ardentemente cambiare le cose, a costo della loro stessa vita. Un po’ come dice sempre Grunf del Gruppo TNT: “Chi per la patria muor, vissuto è assai!” (feat. Fratelli Bandiera). Il nostro Gabriele Rossetti era uno di questi giovanotti ardimentosi.
Arrivato a Napoli con i Borbone, aveva sposato la causa napoleonica, abbracciando anche la Carboneria. Nel 1821 aveva combattuto nella battaglia di Antrodoco a fianco del generale Guglielmo Pepe contro le truppe austriache scese in Italia per restaurare la monarchia assoluta nel Regno delle Due Sicilie. Per questo era poi dovuto riparare, protetto dagli Inglesi, prima a Malta e poi a Londra.
Se, però ci limitiamo a considerare quanto fatto dal Rossetti nella prima metà della sua vita, trascorsa nel Regno di Napoli, poi divenuto “delle Due Sicilie”, facciamo davvero fatica a comprendere la sua importanza e a dividerlo dalla schiera di altri esuli e proscritti dei primi moti pre-risorgimentali. Anzi, dovremmo riconoscere che la sua fama nella Napoli liberata dai Borbone era legata soprattutto ad un’operetta satirica, la “Culeide”, in cui il nostro Gabriele irrideva “il moderno sistema dei culi finti” sfoggiato dall’odiatissima regina, quella Maria Carolina di Asburgo Lorena, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, consorte del Re di Napoli e sorella della più nota Maria Antonietta.
Quindi Rossetti era un patriota scapocchione e goliardico? Certo, era anche quello. Ma ciò che lo ha reso così rilevante nella storia della letteratura è sicuramente altro e ha inizio proprio quando Rossetti abbandona l’Italia e deve trascorrere ben 3 anni a Malta prima di riuscire a riparare definitivamente a Londra.
Nella solitudine della latitanza (era fuggito dal regno borbonico perché era stato fra i pochi condannati a morte da Ferdinando I), Rossetti iniziò a leggere un antico poeta dimenticato che, come lui, aveva dubito subire l’onta dell’esilio. Dante Alighieri, agli occhi di Rossetti, era innanzitutto il “Ghibellin fuggiasco” e la sua opera letteraria non poteva essere scissa dalla sua vicenda umana, che assomigliava (almeno così pensava il Rossetti) così tanto alla sua.
Riparato a Londra, Gabriele Rossetti fece conoscere a tutto il mondo Dante Alighieri. Pubblicò il suo “Commento analitico sulla Divina Commedia” a Londra nel 1826 a pochi mesi di distanza da quello di Ugo Foscolo. Si può dire che Dante sia diventato un riferimento culturale del nostro risorgimento e del romanticismo europeo anche grazie all’ostinazione degli studi del Rossetti ed alla sua capacità di trasmettere la medesima passione ai figli (Dante Gabriel, prima che pittore, fu poeta e, soprattutto, fortunato traduttore degli stilnovisti in lingua inglese).
L’importanza degli studi di Gabriele Rossetti su Dante è legata, però, ancor di più ad un’altra opera successiva, «La Beatrice di Dante» del 1842. Perché quest’opera è così importante? Per capirlo basta leggerne le prime pagine:
“La Beatrice della Vita Nuova è una figura allegorica, per confessione e dimostrazione di Dante Medesimo. Il Convito di Dante è un lungo e minuto commento, fatto dal poeta ad alcune sue canzoni […] che intende illustrarvi quattordici di siffatte canzoni che furono da lui composte per la sua mistica donna, cioè per la filosofia”.
Prima di Rossetti, questo concetto non era mai stato così ben analizzato e, soprattutto, non era mai stato relazionato con l’appartenenza di Dante alla setta segreta dei “Fedeli d’Amore”, il cui fine era una riforma radicale della Chiesa nel senso della fine del suo potere temporale e della sua restituzione piena al regno della spiritualità.
Questa intuizione del Rossetti sulla figura di Beatrice ebbe all’inizio un’importante eco in Italia, dove venne ripresa da alcuni studiosi, fra cui il Pascoli, fino ad esser celebrata da Luigi Valli in “Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore»” nel 1928. Rileggere l’incipit dell’opera del Valli ci fa ben capire quanto lui considerasse importante Rossetti:
“Dedico questo libro alla gloriosa memoria di Ugo Foscolo, Gabriele Rossetti, Giovanni Pascoli i tre poeti d’Italia che infransero i primi suggelli della misteriosa opera di Dante”.
Di questo suo ruolo, in Italia, si sono però perse le tracce perché, dopo i Patti Lateranensi del 1929 Rossetti è stato di fatto “messo al bando” una seconda volta e non è più stato citato in alcuna antologia. Anche le sue interpretazioni sono state rigettate dalla critica letteraria ufficiale e riscoperte solo recentemente. In questo gli ha giocato contro l’essere un massone e, soprattutto, aver insistito sempre sull’interpretazione politica e antipapale dell’opera di Dante.
Anche a Vasto, Rossetti ha avuto un particolare destino. La piazza gli era già stata intitolata quando il regime fascista era ancora laico. Però la sua figura è stata progressivamente svuotata e oggi ce ne rimane più il vuoto simulacro (la statua) che il vivo messaggio (il suo pensiero).
Quando qualche anno fa, l’area intorno al suo monumento è stata restaurata a spese dei Lions, qualcuno ha voluto leggere nel cancelletto del recinto i simboli massonici di squadra e compasso. La leggenda metropolitana vuole che le processioni, da allora, girino al largo della statua per non consentire che il vescovo venga a trovarsi di fronte tali simboli.
Oltre le legende, c’è il fatto incontestabile che Gabriele Rossetti e la vicenda sua e della sua famiglia rappresentano un patrimonio straordinario (opere, luoghi e, soprattutto, storie). La città, però, non solo non riesce a valorizzarle, ma di fatto non riesce neanche a riconoscerle compiutamente.