Dai viaggi di ritorno riaffiorano i ricordi. A mente fredda e senza il cuore in gola, il cervello rielabora mezz’ora di paura e rimette in fila i tasselli.
Mentre le indagini si concentrano su alcuni ragazzi, accusati di aver scatenato il panico collettivo, riemergono i racconti di quei tifosi juventini che, dal Vastese, erano andati a Torino per seguire, come altre 30mila persone assiepate davanti al maxischermo, la finale di Champions League persa dai bianconeri col Real Madrid. E’ andata male sul campo di Cardiff, peggio in piazza San Carlo. Il bilancio sanitario è di 1527 feriti nella fuga di massa scatenata da quel gesto.
Scene che milioni di persone hanno visto in televisione o su internet e che gruppi di ragazzi partiti dal Vastese nella speranza di festeggiare il triplete tanto sognato hanno, invece, vissuto sulla loro pelle con ferite e contusioni. Le testimonianze di due giovani di Gissi e tre di Vasto.
“Calpestati dalla folla” – Angelo Marino e Domenico Delle Donne erano arrivati da Gissi con la voglia di far festa sotto la Mole: “Io e Domenico – racconta Angelo – stavamo vedendo la partita. La situazione sembrava tranquilla. Ci trovavamo nella piazza, ma ai lati della folla. E’ stata questa la nostra fortuna.
A un certo punto, abbiamo sentito un boato, come se fosse un gol. Non abbiamo avuto neanche il tempo di girarci, che abbiamo visto tutti correre dalla nostra parte. Ci hanno travolto e siamo caduti a terra, dove era pieno di bottiglie rotte. Io mi sono tagliato un braccio e fatto male alla schiena e alla testa. Ci hanno calpestato, ma siamo riusciti a rialzarci. Inizialmente, ci eravamo persi, poi ci siamo ritrovati. Tutto sommato, non stavamo male. Allora abbiamo aiutato due ragazze ferite e impaurite. Sono arrivati i soccorsi. Volevano farmi salire su un’ambulanza, ma mi sono rifiutato, perché c’erano persone che stavano peggio di me.
Abbiamo trovato rifugio in un bar, dove ci siamo puliti dal sangue e fatto telefonare: così abbiamo tranquillizzato familiari e amici. Ci facevano male la testa e la schiena. Sono stati minuti di panico, non sapevamo cosa fosse successo. Poi, gli amici, al telefono, ci hanno raccontato le notizie dei telegiornali: era stato un falso allarme”.
“La gente apriva i portoni per darci un rifugio” – Tre ragazzi di Vasto tra i 25 e i 28 anni si sono ritrovati nel bel mezzo della fuga di massa. Uno di loro, 27 anni, racconta: “Eravamo al centro della piazza. A dire la verià, non abbiamo sentito boati. Ma, all’improvviso, ci siamo ritrovati in mezzo alla calca: tutti spingevano verso la stessa direzione. Chi cadeva veniva calpestato e, quasi sempre, non riusciva a rialzarzi. La paura era proprio quella: cadere e rimanere incastrati tra una selva di gambe e farsi male seriamente. Io sono inciampato due volte insieme alle persone che mi stavano intorno. Sono caduto sopra di loro. Sono riuscito a rialzarmi solo con qualche graffio e qualche botta. La corsa disperata della folla verso le vie di fuga dalla piazza è durata sei-sette minuti. Sei-sette minuti di panico. C’era anche un servizio d’ordine che ci ha bloccato per una manciata di secondi, evitando che finissimo uno sull’altro.
Pensavamo tutti a un attentato. Io, non avendo sentito esplosioni, ho creduto che un furgone si fosse lanciato sulla folla, com’è successo in altri attentati. C’erano schegge di bottiglie di vetro e sangue dappertutto. Ho perso i miei amici. Ognuno di noi è riuscito a rifugiarsi. La gente che vive nei palazzi lì intorno apriva i portoni per offrirci riparo. Io stesso mi sono rifugiato in un androne e ringrazio gli studenti universitari che mi hanno aperto. Un amico si è riparato in una pizzeria, un altro in un bar, un altro ancora è fuggito verso la stazione. Per più di mezz’ora, ci siamo ritrovati ognuno in un posto diverso e ognuno di noi non sapeva dove fosse l’altro, perché i cellulari non funzionavano e neanche internet. Questo mi faceva credere ancora di più di essere capitato nel bel mezzo di un attentato terroristico. Poi, dopo una quarantina di lunghissimi minuti, i telefoni hanno ricominciato a funzionare, ci siamo ritrovati e abbiamo saputo che stato scatenato il panico collettivo”.