Lo scorso giovedì mattina, il Comune di Vasto, con la rimozione del chiosco andato a fuoco un anno fa, ha iniziato la riqualificazione del Parco Comunale Giuseppe Spataro nel quartiere San Paolo. Con quest’opera, il comune risponde alle richieste pervenute da diverse parti sociali per rendere di nuovo praticabile l’unica area verde del quartiere più grande di Vasto. Il quartiere meglio noto come “Zona 167”.
Qualcuno, leggendo la notizia, storcerà il naso. Che senso ha spendere soldi pubblici per risanare un parco che, tanto, è destinato nuovamente ad essere vandalizzato? Stiamo parlando o no del “Bronx” di Vasto? Il quartiere delle case popolari, sinonimo di violenza e degrado. A Vasto, come anche a San Salvo, a Lanciano e in ogni città italiana in cui siano state costruite zone simili…
Certo, la scritta “Benvenuti al Bronx” c’è davvero, tracciata con lo spray su un cartello stradale di ingresso alla città. E un po’ Bronx la zona 167 lo è stata. Alla fine degli anni ’70 e per la prima metà degli anni ’80 è stata il quartiere satellite della città, un dormitorio senza servizi, i cui cittadini erano costretti a tornare in centro per tutte le loro esigenze: uffici pubblici, farmacia, scuole. Persino per fare la spesa.
Però, nonostante questo, la Zona 167 è sempre stata qualcosa di più che un ammasso di case. Ha sempre rappresentato un tessuto sociale fatto di relazioni umane che, nel tempo, si sono rafforzate, mentre altre zone, nate con una destinazione più borghese, non sono mai riuscite a raggiungere una dimensione autonoma e distinta.
Per chi non lo sapesse, “Zona 167”è il nome che hanno preso negli anni ’60 e ’70 molte aree destinate dai comuni all’edilizia residenziale popolare ai sensi della legge n. 167 del 18 aprile 1962: “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”. Questa è la legge che ha introdotto in Italia i Piani di Edilizia Popolare (PEEP), creati per contrastare la speculazione fondiaria che, fino a quel momento, aveva dominato il periodo del boom economico, portando ad una rapida crescita dei prezzi degli immobili.
In sostanza, lo Stato dotava i Comuni della facoltà di espropriare, per motivi di pubblica utilità, non solo i terreni destinate alle opere pubbliche, ma anche quelli destinati all’edilizia popolare. Per giunta pagando un prezzo inferiore al valore corrente di mercato (ci si rifaceva al prezzo di due anni prima). Il Comune aveva però l’obbligo di prevedere nelle stesse zone tutti i servizi sociali necessari.
Questa legge, nei suoi primi anni, produsse interventi che sono diventati tristemente famosi, simbolo del degrado delle grandi periferie urbane. Fra tutti possiamo citare lo Zen di Palermo, Corviale a Roma e le Vele di Scampia a Secondigliano (Napoli).
Nel 1971, però, la precedente legge 167 del 18 aprile 1962 fu emendata dalla legge 865 del 22 ottobre 1971. Il suo nome è lunghissimo, ma è nell’ultima parte dello stesso che si nasconde la chiave di un importante cambiamento: “ ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata”. Con la riforma del 1971, gli stessi strumenti previsti per l’edilizia popolare venivano estesi, sebbene modificati, all’edilizia convenzionata. Quindi le varie Zone 167 non sarebbero più state composte solo di case popolari, ma anche di cooperative edilizie.
L’effetto su Vasto fu immediatamente benefico. Con l’individuazione della Zona 167 nell’area circostante Via San Rocco (che all’epoca era l’unico asse viario della zona), iniziò un piano di costruzioni che portò prima alla creazione di alcune case popolari su via Ciccarone, poi alla creazione dell’asse viario di via Spataro che congiungeva via San Rocco, e, quindi, via Mazzini, con via Ciccarone. Su questi assi sorsero numerose cooperative edilizie, di cui la più grande probabilmente era la “Di Vittorio”, e, fra queste, la cooperativa “Lo Zodiaco” nella quale ho abitato fino ai miei 13 anni.
Non erano anni facili. In generale, in tutta Italia. Soprattutto in zone come quella, dove capitava di uscire al mattino per andare a scuola e non poterlo fare perché di notte avevano rubato la benzina, oppure le gomme all’automobile. Girava anche la droga, quella pesante, e ho amici di infanzia che sono morti molto giovani per questo motivo.
Eppure, nonostante questi dati oggettivi, ricordo quegli anni come un periodo di una diversa umanità. Più coesa, più solidale. Con molta più fiducia nel proprio futuro. Forse sarà l’età a giocarmi qualche brutto scherzo (una volta superato il giro di boa, si fa presto a diventare nostalgici…), eppure penso che in quel modello sociale c’era qualcosa di meglio di ciò che oggi comanda la caotica espansione urbana e la scarsa integrazione sociale dei nuovi quartieri cittadini.
Dal punto di vista urbanistico, qualcuno obietterà che non sono poi così belle le palazzine anni ’70… Scommetto che non vi piacciono (esteticamente, neanche a me…). Trovate addirittura ributtanti le case popolari di 6 piani di quegli stessi anni? Bene, allora ricordatevi che prima della Zona 167 aVasto, per il costo dei terreni, si costruivano i grattacieli. Con la programmazione dell’espansione a Nord, a Vasto si smisero di costruire i grattacieli e si iniziarono a creare dei complessi residenziali per 8-12 famiglie per palazzina, con una popolazione di 300-400 persone per ciascun complesso.
Il modello della Zona 167, infatti, si basava sulla creazione di uno spazio pubblico. Nelle palazzine, tutte dotate di ampie sale condominiali e terreno intorno. Nei portici che molte di esse avevano. Nell’esistenza di una piazza in cui tenere un mercato. Nelle strade sufficientemente ampie e nei loro marciapiedi. Per Via Spataro, forse l’unico boulevard di Vasto, sul marciapiede ci potevamo anche andare in due o in tre e tenerci per mano. Oggi, quei pochi marciapiedi che vengono realizzati a Vasto, sembrano fatti per qualche sparuto pensionato che, al massimo, si fa precedere dal suo cagnolino al guinzaglio!
Soprattutto, potevamo giocare. In tanti. Organizzavamo partite tutti i giorni. Anche in 20 ragazzi per volta. Giocavamo nel cortile, nei portici, in mezzo alla terra, sugli alberi. Oggi dove giocano i ragazzi dei bei palazzi nuovi? Avranno anche dei bellissimi portoni blindati, dei garage, dei videocitofoni ad altissima risoluzione. Ma dove giocano insieme?
Sembrano cose banali, ma basta prendere in mano una cartina per capire che non lo sono. E basta farsi una passeggiata per capire, soprattutto, che la loro mancanza è deleteria perché, come dice l’architetto Vittorio Gregotti, “chi progetta spazi progetta comportamenti”.
E quegli spazi che avevamo a disposizione erano il luogo in cui si esprimeva, cosa davvero rara, l’unione di più classi sociali, proprio come voleva lo spirito di una legge che aveva previsto di costruire le case popolari accanto alle cooperative dei colletti bianchi. La Zona 167, infatti, è stato un grande luogo di passaggio e di integrazione. Dal 1961 al 1981 Vasto è cresciuta da20.000 a 30.000 abitanti. Molti di essi sono passati dalla 167. Arrivando dalla città vecchia (come me), dalle campagne, o anche dal Nord, come tanti piemontesi che erano arrivati in zona per distacco da parte di Fiat e Magneti Marelli.
La 167, nel bene e nel male, è stato il luogo in cui sono cresciuti insieme figli di ambulanti e figli di impiegati, operai e insegnanti. La città tutta è cresciuta con un modello di integrazione che oggi sembra irripetibile, confinati come siamo in case sempre più belle, ma sempre più impermeabili al mondo esterno.
Come ho già ammesso fin da subito, quel modello non è stato esente da pecche. Il comune avrebbe dovuto realizzare servizi che ha tardato a fare (lo stesso giardino comunale di cui si annuncia ora la riqualificazione è degli anni ‘90). Per tanti anni, il quartiere non ha neanche avuto una chiesa, tanto che faceva parrocchia la Madonna dei Sette Dolori, una vecchia chiesetta di campagna posta all’incrocio fra la camionabile (la vecchia statale adriatica, oggi corso Mazzini) e la via di San Rocco.
Quel poco che è stato realizzato, però, è molto più di quanto sia stato fatto poi per gli altri quartieri di nuovo insediamento. Questo un po’ per le tribolazioni urbanistiche specifiche della città di Vasto, un po’, a mio parere, perché i quartieri successivi sono nati dopo gli anni ’80, dopo quell’epoca che segna lo spartiacque fra un’Italia più dura, ma attenta alla dimensione sociale, ed una Italia nuova, più ricca, ma anche più edonista e individualista.
Se guardiamo la cartina, ci accorgiamo infatti che l’unico giardino di Vasto, oltre la Villa Comunaleche risale al 1923, è proprio quello della Zona 167. Al confine della 167 c’è quella che è oggi la Fifth Avenue di Vasto, quel viale Giulio Cesare che concentra Poste, Tribunale, Polizia, banche e servizi finanziari di ogni genere. Delle 3 grandi nuove chiese costruite in questi anni, San Paolo è probabilmente la meno bella dal punto di vista architettonico, ma è anche l’unica inserita in un contesto urbano, l’unica a cui si arriva a piedi dal territorio della parrocchia. Le altre due, San Marco e Santa Maria del Sabato Santo, sono state costruite in luoghi totalmente slegati dal contesto urbano del loro quartiere, lungo la tangenziale, e sembrano davvero delle “cattedrali nel deserto”.
Oggi si vuole “normalizzare” questi quartieri anni ‘70 cambiando loro nome per equipararli agli altri. A Vasto la Zona167 diventa così San Paolo. A Lanciano Santa Rita. Ma la Zona167, per quanto ho ricordato, non è un quartiere come gli altri. Nella sua evoluzione ci sono molti aspetti della nostra storia sociale. Ci sono cose di cui, tutto sommato, andare fieri. Soprattutto, ancora oggi, nel quartiere, c’è gente che è giustamente orgogliosa di dire “Sono della167”.