Impegno civile, impegno sociale, impegno nelle Istituzioni o fuori dalle Istituzioni; per qualcosa o contro qualcosa. Terminologie differenti, utilizzate per giustificare diversità più che per affermare comunione d’intenti. Espressioni di cui ci si serve per individuare comuni luoghi per alcuni ma che determinano separatezze per altri. Sottospecie artificiose di un impegno che è, invece, unico e che si chiama “impegno politico”.
Nell’uso comune, però, l’impegno politico ha acquisito un significato tutto proprio, volto indicare qualcosa di estraneo e terzo rispetto all’impegno civile o sociale; una dimensione a sé, avulsa da un contesto universale, appannaggio solo di chi sceglie di vivere, magari, esperienze in partiti o movimenti che abbiano fini esclusivamente elettorali.
Sempre più spesso, per affermare la propria rettitudine morale, c’è chi dice “il mio è un impegno sociale, non politico” o, altrimenti, “il mio è un impegno fuori dalle Istituzioni, non nelle Istituzioni”, come se Politica ed Istituzioni fossero luoghi di perdizione. Eppure, la Politica è “scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica”, così come s’insegna nei luoghi di cultura.
Ogni nostra scelta di vita quotidiana è scelta politica, non soltanto quella che si esercita nell’esprimere un voto. Appare questa un’affermazione di principio, un teorico filosofeggiare sui massimi sistemi ed invece è la negazione di tale realtà che permette a chi “organizza” la politica di farne mero strumento di gestione del potere. Si tende a non dar più significato ai nostri gesti, in preda a compulsioni egoistiche e di convenienza ed è questo ciò che rende i rappresentanti nelle pubbliche Istituzioni liberi di dirigere le devianze della Politica per un tornaconto che nulla ha a che fare con la gestione sana della vita pubblica.
Nascono così le occasioni che permettono, per opportunismo e con mero pragmatismo, il nascere di partiti e movimenti che basano la loro ragion d’essere esclusivamente sul “contro”. L’attuale malessere diffuso nei confronti della Politica ha generato quella cosa anarcoide che viene chiamata strumentalmente e demagogicamente “antipolitica”, senza badare che essa è il vero alimento di chi interpreta malamente la gestione del potere che, proprio così, si perpetua. Opporsi alla realtà deviata è, però e comunque, sacrosanto.
Qualche decennio fa, la populistica azione “contro” la si sarebbe intitolata “lotta al sistema”, il vero problema è che oggi un “sistema” politico non esiste! Chi lotta “contro” tira calci al vento e ad immagini impalpabili poiché chi determina le scelte… politiche non siede nelle Istituzioni, non vien fuori dalle urne ma è soltanto strumento di ambienti che la Politica dovrebbe governare invece di esserne governata.
Nelle Istituzioni, la politica è nelle mani di semplici amministratori, general manager senza titolo di proprietà e per conto terzi. Oltretutto, personaggi (in cerca d’autore) pronti, pur di avere un ruolo di personale rilievo, senza alcun rispetto per se stessi (figuriamoci per gli altri), a gettarsi nelle braccia di questo o quell’altro leader del momento, di provvisoria maggioranza od opposizione che sia; solerti nel comporre quel magma informe a cui ognuno di noi si sta abituando, ritenendo che, in fondo, la politica sia questo e non altro.
Ma la Politica, “scienza e tecnica, come teoria e prassi”, non può neanche essere alimentata dal nichilismo e dal rigetto di tutto; così come l’attesa di una nuova generazione di interpreti della Politica non può essere eterna. L’impegno civile, quello sociale, quello nelle Istituzioni così come fuori dalle Istituzioni, per qualcosa o contro qualcosa deve tornare a chiamarsi “impegno politico”, senza il timore di sporcarsi le scarpe nuove, senza delegare ogni volta per poi lamentarsi sempre e comunque, nel ruolo che la vita concede; perché dove non si è, ci sono altri.