“Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui”. E’ così che nel vangelo di Matteo si legge della figura di Simone di Cirene che aiutò Gesù ad accollare la croce nella salita verso il Golgolta. E anche questa sera, durante la processione del Giovedì Santo, sarà proprio il Cireneo scalzo, accompagnato dall’abbraccio dei confratelli incappucciati che gli indicano la via con la luce delle loro fiaccole, ad attirare su di sé l’attenzione di tutti i presenti, che siano fedeli poco importa.
Il doloroso cammino verso la crocifissione si identifica completamente con il Cireneo, misteriosa ed affascinante figura che, nelle due processioni del Giovedì e del Venerdì Santo, è una vera calamita per chiunque assista ai solenni cortei. Quello del Cireneo non è un ruolo che si interpreta, ma è una vera e propria impersonificazione, non solo con Simone di Cirene ricordato dal Vangelo, ma con tutta la passione di Cristo.
Il Cireneo viene scelto dal Priore, solitamente poco prima dell’uscita della processione e questa scelta ricade sul confratello che, durante l’anno, ha mostrato più impegno, attaccamento e amore nei confronti dell’Arciconfraternita. Dopo la scelta, il confratello viene condotto in quella che viene chiamata la stanzetta del Cireneo, lì sarà possibile riflettere, pregare e prepararsi ad accollare la croce.
Una preparazione più spirituale che fisica quella del Cireneo. Perché se è vero che reggere un peso di circa 25 chili su una spalla, sempre la stessa, a piedi nudi, per le vie della città, senza mai poterlo poggiare a terra è faticoso, è altrettanto vero che il peso maggiore sarà dato da tutte quelle “croci” simboliche che il Cireneo vorrà aggiungere virtualmente a quella reale che accolla.
Una ricompensa per l’impegno profuso, ma mai un’aspettativa o peggio una pretesa e soprattutto un momento di grande raccoglimento ed introspezione che inizia con la formula recitata dal Priore “ti affido la croce di Cristo segno di amore e sofferenza, onora quest’Arciconfraternita”, prima di passare il pesante legno per l’uscita in processione.
Come tradizione vuole, ad ora crepuscolare, il portone della chiesa di Santa Chiara si apre e attraverso una nuvola di incenso, l’Arciconfraternita Morte e Orazione riconsegna ufficialmente il Santo Sepolcro alla città di Lanciano. La consegna è simbolica, tanto quanto sono carichi di simboli i momenti che precedono l’apertura di quel portone. Il buio, la tipica luce blu che si staglia sul Cristo, l’incenso e le note del Miserere, rendono l’atmosfera mistica, intensa e carica di pathos. E il rumore del legno che si apre e lascia penetrare la luce dall’esterno e l’ingresso di quanti sono fuori in attesa, segnano la perfetta commistione tra i riti della settimana santa lancianese e l’Arciconfraternita stessa.
Poi alle ore 22, così come accade dagli anni ’70, i soli confratelli si preparano ad uscire tra le vie del centro storico, col cappuccio calato sul voto, e illuminati soltanto dalle fiaccole, accompagnano il Cireneo nel suo percorso di penitenza. Le marce funebri di Masciangelo e Ravazzoni saranno lo struggente sottofondo musicale di una Lanciano che, per una sera si ferma e vestita a lutto, dimentica problemi e stress quotidiani per identificarsi completamente con la Passione di Cristo.