C’è un gran dire circa la necessità, dai più avvertita, di individuare “punti di riferimento”, di geolocalizzarsi nello scenario della politica italiana. Fino a qualche tempo fa, si era indotti a ritenere che punti di riferimento potessero essere rappresentati da una dottrina, una ideologia, anche soltanto da un pensiero capace di coagulare, attorno a sé, interesse tale da permettere la formazione di un partito, di un movimento, di un’associazione; organizzazioni, strumenti da utilizzare per affermare una visione della vita e per raggiungere determinati obiettivi per il bene comune. La libertà di riconoscersi in uno qualunque di tali strumenti, anche soltanto per il tramite dell’espressione del voto, faceva sì che tutti potessero sentire di appartenere ad un insieme di persone titolari di un comun denominatore. A raffigurare, anche graficamente, tale insieme bastava un simbolo, un’icona identificativa.
Era la Costituzione a suggellare le forme dei vari “strumenti”, sancendo, all’art 49, che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Col passar del tempo, tale principio costituzionale è diventato ostaggio di più leggi elettorali, con le quali si è favorito, e comunque non contrastato, il proliferare di contenitori nati non certo in virtù di visioni della vita, dottrine, ideologie o di obiettivi da raggiungere per il bene comune ma soltanto al fine di misurare rapporti di forza che determinassero la formazione di Governi; l’obiettivo diventa così la rappresentanza nel potere e l’espediente più adatto per raggiungerlo non può che essere un partito, un nuovo partito, piccolo che sia.
Ma il fenomeno, per quanto degenerante, rappresenta soltanto una fase intermedia. Infatti, logica democratica vorrebbe che, all’interno di un partito, l’emersione del leader avvenga tramite congressi e assemblee o sia determinato, nei fatti, dal suffragio elettorale, sul campo, in occasione di elezioni politiche generali. Invece, tali fasi vengono sempre più spesso trascurate o, nel migliore dei casi, vissute con senso di fastidio. Insomma, il leader viene individuato in luoghi poco rappresentativi di un insieme e poi imposto solo per celebrarne la figura.
Inoltre, nella storia repubblicana, i leader di partito sono stati sempre componenti del Parlamento, organo collegiale rappresentativo della volontà politica dei cittadini, ma anche questo aspetto, elemento di garanzia per una qualche vera rappresentatività popolare, è stato superato. Si pensi, per più e diverse ragioni ed in alcuni casi indipendentemente dalla loro volontà, oggi, i leader dei maggiori partiti non sono parlamentari, magari un domani lo saranno o lo sono stati ma oggi non lo sono. Renzi non è parlamentare, Grillo non è parlamentare, Berlusconi neanche, Salvini lo è ma in Europa e non in Italia, eppure sono i capi dei più grandi partiti e sono loro a determinarne la linea politica. Ne deriva un Parlamento di replicanti, comparse che, oltretutto, spesso legiferano soltanto recependo Decreti legge governativi o concedendo delega al Governo per Decreti legislativi. La politica viene fatta altrove, sui mass media, sui social web, sui giornali ma non in Parlamento, eppure l’ordinamento politico della Repubblica Italiana basa su di un sistema improntato ad una democrazia rappresentativa nella forma di Repubblica parlamentare.
Ma non basta. La ricerca di “punti di riferimento” di cui si sente la necessità amplia i suoi confini e non ci si riferisce ad essi con espressione idiomatica ma in senso fisico, geografico. Ci si sente attratti, in preda ad esterofilia, da figure quali Trump o Putin, uomini politici e statisti che con l’Italia non hanno niente a che fare se non per la loro volontà di gestirne le sorti. E’ così che svanisce, per noi Italiani, il senso del principio di autodeterminazione dei popoli, è così che si viene colonizzati e si perde indipendenza.
Tutto questo avviene mentre all’interno dei partiti che reggono le sorti nazionali si litiga e si va nel panico per molto poco: il Governo rischia la crisi perché alla Presidenza di una commissione viene eletto un deputato AP invece di altro PD… “Una ferita da sanare”, si urla.
E’ la sorte di un popolo suggestionato da venditori di tappeti volanti e che, come ogni popolo, ha bisogno di “punti di riferimento”, che s’innamora di leader altrui perché, per ora, di propri non ne ha e, forse, non è capace di averne. C’è chi continua a chiamarla ancora Democrazia.