E’ una mattina di luglio dei primi anni ’90. L’aria è ancora fresca, mentre il sole supera il profilo delle case attorno alla stazione. Con la mia patente appena rilasciata, guido la Simca di mio padre dal caratteristico molleggio alla francese. C’è un camion davanti a me, ma non ho fretta. Sono in anticipo sull’orario di ingresso del mio lavoro estivo a San Salvo.
Quando il sole viene finalmente oscurato dalla sagoma del palazzo d’angolo che si avvicina, mi accorgo che il camion ha superato l’incrocio con il semaforo ormai giallo. Freno. Me lo hanno appena insegnato alla scuola guida. La grossa Mercedes nera dietro di me procede. È un colpo che non mi aspettavo. Il mio corpo viene proiettato verso il parabrezza. Fortunatamente ho la cintura. Vengo respinto indietro, dove la mia testa si flette sullo schienale con un forte colpo di frusta.
Ancora stordito, scendo dalla macchina. Non so cosa fare. Lo stimato professionista che mi ha appena tamponato scende anche lui. È incredulo. Non si capacità che la mia Simca sia quasi intatta, mentre la sua Mercedes ha il cofano completamente accartocciato. Prova a convincermi a firmare una dichiarazione in cui ammetto di averlo colpito facendo retromarcia.
Raccolgo le mie forze per respingere la sua richiesta. Firmiamo la constatazione con una descrizione fedele di quanto accaduto. Il professionista riaccende il suo grosso motore diesel e riparte sacramentando. Anche io provo a rimettere in moto la Simca, ma il telaio, per il colpo subito, è rientrato ed ha bloccato le ruote posteriori. Con estrema fatica spingo la macchina all’inizio della salita che porta all’ostello. Mi siedo sul marciapiede. Il sole, intanto, ha rinforzato la sua asfissiante presenza. Mi guardo intorno. Mi chiedo cosa dirà mio padre. Mi sembra di aver appena vissuto il peggior incubo della mia vita. Ma non è così. In fondo è soltanto l’ennesimo incidente sulla Statale 16 al bivio di Vasto Marina.
…
Mi ero davvero dimenticato di quell’esperienza, fortunatamente rimasta unica nel mezzo milione di chilometri che ho poi percorso sulle strade di tutto il mondo. Ieri ho visto il servizio di Michele D’Annunzio su un altro incidente allo stesso semaforo, semplicemente 25 anni dopo e, alle parole “Uno dei punti più pericolosi è l’incrocio della Statale 16 nella zona di P.zza Fiume”, il ricordo del mio antico incidente ha risalito la corrente della memoria e mi si è presentato davanti. Insieme ad una domanda: “Ma siamo ancora a questo punto?”.
Sì, siamo ancora a questo punto. Anzi no. Stiamo andando indietro. Perché, a ben vedere, negli ultimi giorni sono stati fatti importanti passi indietro da tutta la cittadinanza nella presa di coscienza di un grosso problema civico, nella sua possibile soluzione e (udite, udite!) nell’interpretazione stessa dell’esercizio democratico.
Andiamo per ordine. L’argomento è quello della variante alla Statale 16 di cui si discute da alcuni anni e che sarebbe ormai giunta alle soglie dell’iter di approvazione dell’appalto. Il gestore del tratto stradale, l’ANAS, propone di superare Vasto Marina con un tracciato alternativo a monte di quello attuale (ma sempre nel tratto costiero ai piedi delle prime colline). Arrivando da Nord, la variante dovrebbe partire prima di Vasto Marina (in località Trave, per capirci in corrispondenza dell’inizio del Golfo) e ricollegarsi al tracciato attuale in corrispondenza del confine con San Salvo Marina.
Come scavalcare via Donizetti, ovvero la via che collega Vasto alla sua Marina? L’ANAS propone un tratto sopraelevato. Si sa che dovrebbe iniziare a innalzarsi in corrispondenza del primo accesso alla spiaggia (quello che porta di fronte al monumento alla Bagnante), scavalcare la strada e passare dietro la zona di Cona a Mare, dietro la stazione Vasto-San Salvo e poi ricollegarsi alle opere viarie già realizzate dal comune di San Salvo, in località Piane Sant’Angelo.
Appena l’ANAS ha presentato la proposta, è partito il tiro al piccione. Prima alcuni hanno chiesto di sostituire il viadotto con una galleria. Quando è stato fatto notare che il costo sarebbe lievitato ben oltre gli 80 milioni di euro già stanziati e i tempi sarebbero slittati forse di qualche decennio, è stato rispolverato un vecchio progetto che sfrutta alcuni fondovalle preesistenti per creare una variante che congiunga il casello di Vasto Nord a Vasto Sud, by-passando completamente sia Vasto che Vasto Marina.
Qualcuno, a questo punto, ha fatto notare che, per quanto un tracciato del genere porterebbe a migliorare la viabilità nell’entroterra, in realtà rappresenterebbe un’alternativa (di ben 53 km) non alla statale, bensì all’autostrada. Non porterebbe quindi alcuna utilità a chi deve raggiungere Vasto Marina o San Salvo Marina, ovvero il 95% di chi usa il tratto di SS 16 per cui si vuole creare la variante.
L’ultima idea che è venuta fuori è stata quella di tagliare l’abitato di Vasto, effettuando la variante da San Lorenzo a Buonanotte, su di un tracciato nuovo, con molti passaggi in galleria e con maggiori tempi e maggiori costi. Soprattutto, con un sforzo teso a creare una variante per il tratto a Nord di Vasto (quello che passa a monte di Punta Penna e poi costeggia la nostra scogliera nelle località Vignola, Canale e Casarza) che oggi non crea particolari problemi.
Insomma, un portfolio di proposte alternative. Alcune fantasiose. Tutte, comunque, tracciate con un pennarello su qualche cartina stampata da internet (e, notate bene, con un pennarello anche dalla punta piuttosto grossa…). Tutte, però, unite dall’intento di evitare per Vasto quello che viene denunciato come l’ennesimo “ecomostro”: il viadotto che deturperebbe irrimediabilmente la bellezza del nostro territorio.
Unite anche dalla sostanziale inefficacia rispetto al problema di fondo: sottrarre traffico e, soprattutto, traffico pesante, da quel tratto di8 km che era una strada Statale e che oggi, invece, è a tutti gli effetti una strada urbana. Tutti i tracciati alternativi (ad esclusione della galleria sostitutiva del viadotto, che, comunque, è sostanzialmente irrealizzabile) hanno infatti una caratteristica fondamentale. Non servono. Ovvero, servono, ma ad altro. Non a decongestionare quel tratto di strada costiera.
A questo punto sorge il quesito: “Ma dobbiamo proprio farla quest’opera? Che vuole quest’Anas? Non può farsi i fatti suoi?”. E invece, ha ragione l’ANAS. La risposta sta nella storia. Non solo la mia (l’ennesimo incidente all’incrocio di Vasto Marina), ma anche in quella di tutti, nella Storia conla S maiuscola.
La Statale16 è la strada più lunga d’Italia. Con oltre 1000 km, collega Padova a Santa Maria di Leuca. Costruita durante il fascismo, prima passava nell’abitato di Vasto (l’attuale via Garibaldi, una volta la chiamavano “la camionabile”) e proseguiva per Cupello. Fu portata alla marina negli anni ’60 per servire il polo industriale di San Salvo (la SIV). Già allora la zona del Fosso marino fu scavalcata con un arretramento rispetto alla costa e un viadotto (che, infatti, costituisce il tratto migliore dell’attuale tracciato).
Chissà se anche allora qualcuno ebbe da ridire sull’ecomostro… Immagino di sì, così come i Vastesi hanno avuto da ridire sul viadotto Histonium, sulla Circonvallazione e su tutte le altre opere viarie che, però, usano poi quotidianamente. In ogni caso, oggi, nessuno considera quel viadotto come qualcosa di negativo, anche perché è arretrato rispetto alla linea della costa. Così come sarebbe arretrato il nuovo viadotto al Trave che allontanerebbe, appunto, la strada dalla costa e dal centro abitato.
Oggi Vasto Marina è come la Vasto di 70 anni fa. C’è una camionabile che ne attraversa il centro. Quella strada è stata uno dei motori del suo sviluppo, ha contribuito a farla diventare grande. Ma ormai è troppo grande. E la strada le sta piccola. 70 anni fa i nostri amministratori hanno deciso di spostare l’asse viario a mare e, con questo, hanno contribuito a far sorgere un altro polo di sviluppo. Non solo il polo industriale, ma anche le due marine (di Vasto e San Salvo) come polo commerciale e turistico (senza la statale non ci sarebbe stato turismo). Oggi ci indicano nuovamente la necessità di allargare le maglie della viabilità. Per motivi di sicurezza, di qualità dell’ambiente e livello dei servizi.
Dispiace, quindi, il vedere tanti scagliarsi contro un’opera di cui non è stata mostrato ancora alcun progetto esecutivo, denunciandone l’impatto visivo e dimenticando l’enorme beneficio che porterebbe con la riduzione del traffico pesante da un tratto ormai totalmente urbanizzato. Dispiace ancora di più il vedere fra questi alcuni che, in passato, hanno purtroppo contribuito a deturpare Vasto e le cui infauste scelte amministrative hanno provocato la cementificazione selvaggia del nostro litorale e delle nostre colline.
Sarebbe stato molto più opportuno concentrarsi sul come fare i lavori, accettando il progetto di massima (che, per conseguire i risultati necessari, deve rispettare il tracciato proposto) e impegnandosi, invece, a vagliare con puntiglio ogni aspetto di dettaglio. Questo perché un viadotto non è negativo in se e per se. Non ha necessariamente un alto impatto visivo, così come la sua sicurezza viaria dipende molto dagli svincoli che vi vengono costruiti. Come tutte le cose può essere fatto bene o meno bene. Con attenzione (come appare tutto sommato costruito il viadotto già esistente su Vasto Marina), oppure con noncuranza (come appare costruito invece il viadotto Histonium che taglia il centro di Vasto, quello sì un vero e proprio obbrobrio urbanistico).
La cosa che, però, più mi sorprende, è constatare la quasi totale consonanza di maggioranza ed opposizione nell’opporsi ad un progetto che, per altro, non è di rilevanza locale, ma nazionale. Pensiamo mai che quella è l’arteria principale del traffico veicolare fra i due comuni più importanti della zona? Che in diversi momenti dell’estate è congestionata e completamente bloccata dal traffico balneare o delle serate estive? Avete mai pensato cosa succede se, per esempio, un campeggiatore ha un infarto la sera del 16 di Agosto e deve raggiungere l’ospedale di Vasto? Oppure avete mai pensato a cosa significa partire da Vasto per andare a lavorare a San Salvo o a prendere il treno e non avere nessuna sicurezza dell’orario di arrivo perché un qualsiasi problema stradale potrebbe bloccare l’unica via di circolazione?
Ecco, immagino di no. Probabilmente il Vastese a queste cose non pensa. Oppure, ci pensa, ma pensa che la sua identità di Uastarèule duro e puro sia più importante del miglioramento della viabilità nazionale. Ma, se questo, forse, da parte sua è ancora comprensibile, molto meno lo è da parte di chi dovrebbe dedicarsi ad applicazione di raziocinio per governare la cosa pubblica.
Lo schierarsi di tutto il Consiglio Comunale contro il parere dell’ANAS e della Regione, non per un progetto diverso, ma semplicemente contro il progetto presentato, non è per me cosa da festeggiarsi. Anzi. È un clamoroso cedimento dei nostri rappresentanti al populismo.
Come lo chiama Tom Nichols in The death of expertise: the Campaign Against established knowledge and why it matters, è il trionfo del modello consumistico della customer satisfaction contro la competenza e l’expertise rappresentate, in questo caso, da Polizia Stradale, ANAS e tecnici regionali.
E purtroppo, se questa rischia di essere una discussione sulla variante al sapor di populismo, la cosa più triste è che, al populismo in tutte le salse, sembra non esserci più alcuna variante.