Non so come saranno ricordati nei libri di storia questi oscuri e tristi anni che stiamo vivendo. Anni di grande confusione, di crisi economica senza fine, di ruberie continue, di perdita di valori, di senso della comunità e dello Stato.
Si naviga a vista e l’impressione che si ha è che chi manovra le leve del potere si stia prendendo gioco di noi. Ci stanno trasformando in piccoli ingranaggi della grande macchina globale, in tanti “yes men” e “yes women” che, in ossequio alle regole del mercato e all’aumento del Pil, devono trovare la propria soddisfazione nella produzione e nell’acquisto di beni.
Tutto ciò che è di intralcio alla strategia economica va rimosso, cancellato, azzerato, poco importa se, così facendo, abbiamo ormai creato una “face down generation”, una generazione con la faccia in giù, con il volto sempre rivolto verso il basso, ipnotizzato dal “dio smartphone”. L’uomo e la donna che pensano fanno paura, perché il loro pensiero “irriverente” potrebbe portare alla costruzione di un cittadino civile, critico, democratico.
Lamberto Maffei, già direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del Laboratorio di Neurobiologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei e professore emerito di Neurobiologia alla Scuola Normale, nel suo libro “Elogio della lentezza” precisa: “Il consumismo è figlio del pensiero rapido perché anche il consumo deve essere rapido per cambiare desiderio altrettanto rapidamente e tornare a comprare. La sequenza degli eventi che caratterizzano il consumismo è spesso la seguente: vedo, acquisto, poi forse getto via perché un oggetto inutile viene sostituito da un altro, anch’esso inutile, in un ciclo il più veloce possibile anche per evitare di perder tempo riflettendoci sopra. Il pensiero rapido domina il mercato, anzi sta alla base dei suoi successi”.
Non sarà forse per questo motivo che le materie “umanistiche” fanno paura e vengono bollate come “inutili” e “obsolete”? Le materie “umanistiche” (e, come sottolinea Maffei, lo studio è tutto “umanistico”, partendo dalla curiosità dell’uomo) sono di intralcio alla strategia economica, perché portano ad interrogarsi, a sviluppare pensieri alternativi, pensieri “irriverenti”, portano in altri mondi che cozzano con le strategie “culturali” del mercato globale.
Il pensiero, se stimolato e coltivato, permette di sfuggire alla logica di ingranaggio della macchina globale. Il pensiero permette di essere liberi, meno omologati, ed è per questo che rappresenta ciò che di più prezioso noi possediamo. George Orwell, in quel capolavoro assoluto che è “1984”, un libro profetico, fa dire a Winston Smith, il protagonista che tenta di sottrarsi al controllo del Grande Fratello, “nulla ci apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi dentro il proprio cranio”.
Sono “quei pochi centimetri cubi” che spaventano la società dei consumi e dell’omologazione e che noi abbiamo il dovere di coltivare, anche a costo di essere fuori moda e, per questo, emarginati. Per la nostra società alla deriva c’è ancora, forse, una speranza di salvezza.