Cos’è? Un’altra parola di lingua straniera, questa volta giapponese, che sta entrando nel nostro vocabolario. Significa “stare in disparte, isolarsi”. Viene utilizzata per riferirsi a chi si ritira dalla vita sociale, fino a ricercare l’isolamento estremo, il confino fisico e psicologico. Una scelta individuale ma fenomeno sociale dilagante in Giappone ma, un fenomeno che si va diffondendo nel mondo occidentale e da noi, in Italia. Una malattia della modernità, un vero disturbo mentale curabile con la psicoterapia e con gli psicofarmaci, un problema di socializzazione a cui si cerca di far fronte inducendo, chi ne è affetto, ad interagire nei modi “normali”, quelli a cui, fino ad ora, siamo stati abituati dalla comune convivenza. Una cosa seria che ha spinto il governo Giapponese ad individuare i criteri per definire lo stato di hikikomori: ritiro dalla società per più di sei mesi, presenza di rifiuto scolastico e/o lavorativo anche in assenza di forme patologie più gravi quali la schizofrenia, ritardo mentale o altre patologie psichiatriche rilevanti.
Lo strumento che induce i nostri ragazzi a cambiare così radicalmente la vita è internet, i normali rapporti sociali, quelli della fisicità nei contatti, vengono sostituiti dai cellulari, dai tablet e dai personal computer. Scompaiono persino TV, radio e qualunque altro strumento tecnico di svago o d’interesse, è la “rete” l’ambiente in cui si passa la maggior parte del tempo e sono lì confinate artefatte relazioni sociali. Contatti e conversazioni che spesso distorcono la propria personalità, ne esacerbano aspetti inesplorati, ne sollecitano persino forme di perversione e di aggressività, ad iniziare dal rapporto con i propri genitori che può diventare violento, fino ad arrivare a deformazioni che rendono i giovani “troll”, termine gergale internettiano con cui viene indicato chi interagisce con messaggi provocatori, istigatori, senza senso, che hanno lo scopo di disturbare e fomentare gli animi degli altri.
E’ un fenomeno che colpisce i ragazzi, gli adolescenti, i giovani ed inizia a manifestarsi in forme blande per poi diventare di assoluta gravità: ci si chiude in casa, nella propria camera, con le tapparelle serrate, senza alcun contatto con l’esterno, con i familiari, con gli amici. I momenti di forzata convivenza familiare, pranzo o cena, vengono consumati con grande velocità pur di tornare, al più presto, nel proprio totale isolamento. I pasti vengono ingeriti senza neanche distogliere gli occhi dall’apparecchio che assorbe totalmente, si giunge a comportamenti estremi: i piatti col cibo lasciati fuori dalla stanza, oltre la porta chiusa a chiave.
Il ritiro da tutto ciò che rappresenta un contesto di vita avviene pian piano, gradualmente, si perde il senso di sicurezza, di fiducia in se stessi, si perde l’energia del fare. Uno stato che, lentamente, porta alla depressione, a comportamenti ossessivi, compulsivi, a manie di persecuzione e, nei casi più gravi, anche al suicidio.
La mancanza di “normali” contatti sociali e la solitudine duratura, pian piano, fanno perdere i riferimenti comportamentali e le capacità comunicative indispensabili per interagire col mondo che, così, resta esterno, lontano, sempre meno percepibile. “Eremiti postmoderni”, così definisce chi è affetto da hikikomori il Professor Flavio Rizzo, dell’Università di Tokio.
Il fenomeno non è solo giapponese, si va diffondendo in tutto l’Occidente. La Società di Psichiatria, nel 2013, ha valutato in circa 3 milioni gli Italiani, tra i 15 ed i 40 anni, con predisposizione a questa patologia. Lo stato hikikomori è condizione che va oltre la semplice “dipendenza da internet”, fenomeno che interessa 240.000 adolescenti italiani, ne è l’evoluzione ed oggi, in Italia, si stimano 30.000 casi conclamati; i primi diagnosticati nel 2007, dopodiché, la veloce diffusione.
E’ da lasciare, certo, agli studi di psicologi e psichiatri l’individuazione e la ricerca delle cause, delle cure mediche e dei rimedi. Siamo però al cospetto di un fenomeno sociale in cui più situazioni personali generano comportamenti comuni in una generazione esposta ad una realtà dalle più svariate implicazioni. Altrettanto certamente, è da individuare, con forza, nelle famiglie, con madri e padri responsabili per le loro assenze e superficialità, la sede del primo doveroso intervento. Se ogni altra attività di contatto dovesse mancare, lo strumento adatto per interloquire efficacemente con i figli, in un’attività di sostegno ed accompagnamento, potrebbe essere persino la “rete” stessa, un mezzo attraverso cui conoscersi meglio, dialogare ed anche educare.
Ogni giorno che passa, sfogliando le pagine del web, sconosciute ed ignorate da troppi genitori, gli adolescenti, così come narrato da Umberto Eco nel romanzo “In nome della rosa”, attingono veleno, senza portarlo alla bocca ma, con gli occhi, direttamente nella mente, lenta… mente.