AVVERTENZA: Attenzione, questo articolo contiene dati ufficiali. Contiene argomentazioni. Contiene tracce di opinioni basati sui fatti. La lettura di questo articolo ha severe controindicazioni. Può richiedere un tempo superiore ai 10 secondi e richiede attenzione. Provoca induzione alla riflessione. Può provocare turbamenti dovuti al cambio di prospettiva. La lettura di questo articolo è fortemente sconsigliata a tutti coloro che pensano che la vocazione del nostro territorio sia il turismo.
Caro lettore, visto che stai continuando a leggere, allora te la sei voluta e non perderò tempo per farti sapere che il futuro di Vasto e della costa teatina NON è il turismo.
Non sarà il turismo a risolvere i nostri problemi, non sarà il turismo a trainare lo sviluppo del territorio, non sarà il turismo la nostra vocazione. Non lo era ieri, non lo è oggi e non lo sarà domani. Soprattutto (e qui viene il bello!) non è opportuno che lo sia. A meno che non vogliamo che sia un turismo d’Egitto!
Veniamo ai fatti. Quasi quotidianamente si leggono appelli a far qualcosa per lo sviluppo turistico della nostra zona. Di Vasto, ma anche del tratto di costa frentana che oggi viene comunemente denominato “Costa dei Trabocchi”. Gli inviti non arrivano solo da parti politiche e sociali, in qualche maniera deputate a discutere dello sviluppo del territorio, ma sono ormai in bocca a tutti.
“La nostra terra non è promossa a sufficienza!”, “Dovrebbero far qualcosa per il turismo!”, “Il nostro futuro può essere solo nel turismo!”. Ormai queste frasi sono una specie di mantra, sulla bocca dell’uomo della strada, così come di qualsiasi personaggio intervistato, anche su questa testata giornalistica.
Ma è vero? È vero che una maggiore promozione porterebbe allo sviluppo del turismo? E, soprattutto, cosa significherebbe questo? Dobbiamo davvero augurarcelo?
Io dico di no. Almeno non nel senso di uno sviluppo turistico VERO, che richiederebbe ulteriori mutazioni negli equilibri territoriali (leggi privatizzazioni e cementificazioni) e comporterebbe una sostanziale, ulteriore rinuncia a quello che tutti consideriamo “bene comune”.
Partiamo dai dati. Faccio riferimento allo studio del CRESA – Centro regionale di studi e ricerche economico-sociali del 2014. Quanto vale il turismo sul nostro territorio? Poco. Molto meno di quello che la gente comunque pensa.
Se parliamo di Vasto (che è di gran lunga il principale centro turistico della provincia di Chieti), parliamo di circa 80 strutture ricettive, di cui 40 alberghiere e 40 extra-alberghiere, per un totale di circa 6.000 posti letto (un quarto del totale di tutta la provincia). Il 90% degli oltre 60.000 arrivi annuali, è dato da turisti italiani. Le presenze (numero di giornate trascorse dormendo a Vasto), però sono basse, poco oltre 350.000.
Chi viene da noi vi trascorre pochi giorni, mediamente meno di una settimana. Considerando che la spesa media per turista in Italia è di circa 120 euro al giorno (dati ENIT), possiamo supporre che il giro d’affari complessivamente generato dal turismo nella nostra città si attesti fra i 40 ed i 45 milioni di euro l’anno.
Tutto il turismo di Vasto, dal punto di vista economico, vale come una media industria. Se fosse un impianto manifatturiero, diciamo che equivarrebbe ad una fabbrica con circa 200 operai. Dal punto di vista economico, la cosa più inquietante è però un’altra. L’occupazione dei posti letto. È bassissima. Facendo i conti fra disponibilità e delle presenze, si scopre che un posto letto viene occupato mediamente meno di 60 notti l’anno.
Scopriamo quindi che gli stereotipi sono veri! Il turismo a Vasto vale solo per due mesi l’anno. Lo dice la matematica!!!
Questo significa una cosa molto semplice. Per come sono organizzati oggi i flussi turistici (che sono un fattore macroeconomico con moltissime relazioni causali, non basta un articolo su un giornale di viaggi per modificarli in maniera apprezzabile…), investire in ricettività nella nostra zona è una dura scommessa. Vuol dire impegnare un sacco di soldi per ambire ad un ricavo previsto di poche migliaia di euro l’anno, con la difficoltà di gestire un tasso di occupazione delle camere molto ridotto, problemi organizzativi, maggiori costi di esercizio, bassi margini operativi. Anzi, spesso margini negativi.
Ecco perché da anni non ci sono più grandi investimenti in strutture turistiche. Gli ultimi sono stati finanziati con fondi europei (Aqualand) e, da allora, l’offerta turistica della nostra città non è più stata interessata da interventi significativi.
Fermati! Ti ho beccato!!! Lo so che adesso stai pensando “Bisognerebbe che qualcuno metta questi soldi, servirebbe l’intervento dello Stato…”. Non è così che funziona. Premesso che i soldi pubblici sono soldi nostri e non sarebbe una buona cosa investirli in un’attività in perdita, nell’attuale quadro economico (Italia in declino, moneta unica, euro forte, infrastrutture modeste) ulteriori investimenti, anche privati, non farebbero altro che aumentare l’offerta, senza necessariamente aumentare la domanda. In sostanza ci sarebbero più posti letto per una domanda che comunque rimarrebbe simile e stagionale. Stessi turisti, più posti, meno ricavi.
Al di là dell’aspetto economico, però ci sono altri elementi da considerare, per me ancora più importanti. L’errore che si sta facendo è pensare che sia il turismo a trainare lo sviluppo del territorio e non il contrario. È questa falsa credenza che trovo sommamente pericolosa e che si è ormai insinuata nell’opinione pubblica. Tutti a chiedere investimenti turistici (nelle sue varie forme), pensando che più turisti a Vasto portino più soldi in giro e, quindi, più benessere per tutti.
In questo caso, lo stereotipo è falso. Il turismo dei grandi numeri si genera dove vi sono forti differenziali economici (i “poveri” dei paesi ricchi vanno a fare i nababbi nei paesi poveri) e questi movimenti comportano necessariamente lo sfruttamento commerciale di beni che vengono resi indisponibili al resto della popolazione. Ma questo, sul lungo termine, costituisce un depauperamento del territorio e della sua identità. Inoltre, di solito, provoca flussi economici che non vengono redistribuiti se non in minima parte sul territorio dove si svolge l’attività turistica.
È il modello che mi permetto di chiamare “Turismo d’Egitto” per il semplice motivo di averlo sperimentato, ahimé da turista, in un lontano viaggio di nozze. Milioni di persone di ogni nazionalità a spasso sui battelli fluviali e soldi in tasca agli operatori internazionali o a pochi grandi imprenditori nazionali. Soprattutto, milioni di persone autorizzate ad accedere, a calpestare, a toccare i luoghi sacri della più antica civiltà umana e la frase sconsolata di una delle nostre guide che, ad Abu Simbel, mi disse “Bisogna approfittare di questi anni per vedere l’Egitto perché entro i prossimi 60 anni sarà tutto distrutto”.
Certo, anche a Vasto potremmo aumentare il turismo se prendessimo le nostre risorse migliori e le “sfruttassimo” con questo modello. Pensate, per esempio, a quanti turisti potrebbe richiamare un resort esclusivo al posto della zona industriale di Punta Penna, con le scale mobili che ti portano in spiaggia, un ascensore panoramico in vetro sull’anfiteatro morenico ed una collina artificiale per occultare la vista del porto!
Vi piacerebbe? Certo che no! Anche perché vorrebbe dire che la spiaggia più bella della zona sarebbe privatizzata e nessun cittadino avrebbe più diritto di accedervi (se non come cameriere!).
Pensate che il modello del “Turismo d’Egitto” non esista o non sia pericoloso per il nostro territorio? Vi sbagliate. Ogni volta che si deve creare un valore economico attraverso la fruizione di un bene, questo deve essere sottratto alla libera disponibilità. È successo anche da noi. Con gli stabilimenti balneari. Con i parcheggi alla marina. Con gli accessi ad alcune zone della scogliera.
Vi ricordate che 30 anni fa si andava a Vasto Marina in spiaggia libera, non si pagava il parcheggio e la doccia fredda gratis te la offriva il comune? Oggi il servizio è migliorato (…puoi fare anche la doccia calda), ma comunque paghi tutto. Anche quello che prima era gratis.
A Vasto abbiamo 19 km di costa e gli oltre 80 stabilimenti balneari (la maggior parte concessa negli ultimi anni) non impediscono di accedere al mare. Abbiamo ancora, quindi, la possibilità di camminare sulla battigia senza dover, per forza, pagare l’accesso (come avviene in zone d’Italia più rinomate e maggiormente sfruttate). Però il concetto è quello: sfruttare turisticamente significa sottrarre all’uso comune.
Un “turismo d’Egitto” più invasivo lo abbiamo avuto sul fronte delle seconde case. A seguito di un preciso indirizzo politico e, poi, della “vacatio” normativa che ha portato, a inizio anni ‘2000, al “sacco di Vasto”, abbiamo avuto un’impennata straordinaria nell’acquisto di seconde case sul nostro territorio, seconde case che oggi sono oltre 3000 nel nostro comune e che si vanno a sommare alle oltre 4000 di San Salvo.
Certo, il comune ha preso gli oneri di urbanizzazione e i costruttori (a dire il vero, ben pochi della nostra zona…) hanno fatto i loro affari. Ma il risultato oggi qual è? Un numero di presenze nelle seconde case di gran lunga superiore a quello nelle strutture turistiche, con un risultato complessivo fra Vasto e San Salvo di 1.100.000 presenze annue!
Queste presenze sono, in parte, risorse sottratte al comparto turistico (minore domanda ricettiva e minore ristorazione). E l’impatto sul territorio? Devastante. La cementificazione delle rispettive Marine, il panorama di molte zone compromesso, l’abbattimento del valore di tutti gli immobili sul nostro territorio.
Quindi? Cosa dovremmo augurarci?
La strada che possiamo sperare di percorrere non è più quella del turismo delle 4 S (sun, sand, sea, sex), ma quella del turismo delle 4 E (équipment, encadrement, événement, environment), un turismo nel quale assumono importanza il contesto turistico (environment), l’efficiente strutturazione logistica e del sistema dell’accoglienza (équipment), l’alta qualità dei servizi e l’attenzione alle esigenze particolari di fruitori esigenti (encadrement), la capacità di elaborare e proporre una politica degli eventi (événement).
Fermati! Lo so, caro lettore, che adesso stai pensando “lo dicevo io! Basta puntare sul turismo di qualità”, ma non è così semplice. In Francia, dove hanno inventato questo tipo di turismo, raggiungendo il vertice incontrastato delle classiche mondiali con oltre 80 milioni di arrivi l’anno, ci hanno messo oltre 100 anni a perfezionarsi. Inoltre, la loro capacità di valorizzare località e monumenti minori attraverso il turismo esperienziale (e attraverso quello che oggi si chiamerebbe lo “storytelling”), si basa sulla concessione dei monumenti storici della provincia a società private che li gestiscono come se fossero delle attrazioni (e non dei beni museali). Collegandole fra loro in percorsi a tema e non in base alla località. Fornendo servizi di intrattenimento. Facendoci, soprattutto, un sacco di soldi.
Ecco, questo è ciò che, a mio parere, dovremmo fare. Iniziare a costruire le basi per un turismo delle 4 E.
Con una prospettiva di lungo periodo e, soprattutto, ricordandoci che non è la promozione del turismo che sviluppa il suo territorio, ma un territorio sviluppato che promuove il suo turismo!