Il prossimo martedì 28 febbraio è prevista a Vasto la comparizione dinanzi al Giudice dell’Udienza Preliminare degli indagati per l’inchiesta relativa al calendario eventi estivi del 2013. Il giudice dovrà decidere se rinviare a giudizio Luciano Lapenna, Vincenzo Sputore, Lina Marchesani, Nicola Tiberio, Anna Suriani, Gino Masciulli, Mario Olivieri. In buona sostanza, la giunta della precedente amministrazione comunale. Oltre a loro, saranno giudicati il funzionario comunale Michele D’Annunzio e Fernando Miscione, titolare dell’agenzia che l’accusa ritiene esser stata indebitamente favorita dalla giunta Lapenna con un affidamento diretto di 170.000 euro per l’organizzazione del calendario eventi dell’estate 2013.
Il caso vuole che l’udienza si svolga proprio nel giorno di martedì grasso, il culmine del nostro Carnevale. Verrebbe quindi voglia di pensare ad uno scherzo, ma di uno scherzo non si tratta, poiché fra pochi giorni si deciderà se il procedimento debba essere archiviato, oppure se verrà celebrato un processo destinato a calamitare l’attenzione della cittadinanza nei prossimi mesi. Per il fatto in se, ma soprattutto per la visibilità degli indagati e per la sostanziale continuità dell’attuale giunta Menna con la precedente giunta Lapenna.
Se è vero che spetta solo al tribunale pronunciarsi sulla possibile sussistenza di eventuali illeciti penali (e ritengo doveroso non esprimere alcun giudizio a riguardo, se non la presunzione di innocenza di tutti gli indagati), spetta invece ad ogni cittadino farsi un’idea della opportunità dei motivi che portano ogni anno il nostro comune (e non solo il nostro comune…) a spendere cifre che esso fa estrema fatica ad impegnare, senza alcun collegamento con un progetto culturale organico e con i rischi amministrativi che il procedimento in corso dimostra.
Ormai siamo tutti abituati a dare per scontato che un’amministrazione comunale debba drenare le sue risorse economiche per fornire spettacoli gratuiti di grande richiamo, fuochi d’artificio, luminarie, ecc., e non ci rendiamo conto che siamo tornati (o, meglio, rimasti) ad un concetto dell’amministrazione della cosa pubblica da basso impero romano. “Panem et circenses”. Pane e combattimenti di gladiatori.
Il fatto è che, per il reato morale di “panem et circenses” non andrebbero “processati” tanto gli amministratori, ma la cittadinanza tutta, perché questo atteggiamento è largamente diffuso e deriva da una concezione profondamente radicata (fatemelo dire, profondamente sbagliata!) della cosa pubblica.
Per rendersene conto, basta tornare a quella che è stata la polemica più rilevante della scorsa campagna elettorale a Vasto: le notti bianche. Su cosa si sono confrontati Menna e Desiati? Su quale tema il dibattito si è fatto al calor bianco? Sulla Notte Rosa a Vasto Marina, sulla Notte Bianca nel Centro Storico, su “Le notti della Luna” proposte da Desiati, sul futuro del Vasto Film Festival… insomma, sui “circenses” a cui accennavo prima.
E oggi? Di cosa parla l’opposizione a Vasto? L’affondo recente, da parte del Movimento 5 Stelle è… sui festival! Marco Gallo ha scritto una lettera aperta alla cittadinanza chiedendo nell’ordine: un festival rock, un festival dei talenti, una fiera del fumetto, un festival di street art e… tanto altro ancora.
Anche in questo caso, io non voglio assolutamente giudicare la qualità delle idee presentate. Possono essere buone o meno buone, ma quello che (almeno a mio parere) non è buono è che rimanga sempre l’idea che la pubblica amministrazione debba investire i soldi di tutti noi per il divertimento dei cittadini. E, per giunta, non solo nelle date della tradizione (San Michele, San Rocco, ecc.), ma occupando man mano tutti gli altri spazi disponibili.
Lo so, starete pensando “…che barba, ma questo è un mormone!”, oppure “…e qui casca l’asino! Se non si investe negli intrattenimenti il turista non arriva!”.
Non è così. Qui si tratta semplicemente di fermarsi a riflettere su alcuni punti. Se avrete ancora voglia di leggerli, poi potrete anche essere in totale disaccordo con me, ma almeno avremo fondato la riflessione su alcuni fatti oggettivi…
1. Gli importi impegnati dalle amministrazioni nell’organizzazione di eventi sono davvero rilevanti. Basti pensare che l’importo dell’estate 2013, pari a 170.000 euro, è quasi il doppio rispetto a quello che spende il comune di Vasto in Asili nido e Scuola materna (se contiamo solo la spesa corrente ed escludiamo gli investimenti, è circa 4 volte tanto).
2. Non si parla di cultura, ma di spettacoli. La cultura è partecipazione. Eventi in cui sto a guardare gratis il comico o il cantante di rilievo nazionale sono divertimento, non elevazione spirituale delle masse. Inoltre un investimento culturale presuppone un piano ed una gestione del governo cittadino, non l’affidamento diretto chiavi in mano ad un impresario.
3. La (sacrosanta) domanda privata di intrattenimento, se viene soddisfatta dall’investimento pubblico, non andrà a sostenere l’investimento privato. Dove il comune investe 170.000 euro, va a sottrarre almeno altrettanto investimento da parte di privati che su quella stessa domanda avrebbero poi potuto guadagnare. Sugli effetti di questa politica nel lungo termine, è sufficiente osservare la progressiva moria dei locali notturni, delle discoteche e delle sale da ballo
4. Se l’offerta di spettacoli è gestita dalla pubblica amministrazione, anche gli operatori del settore smettono di essere imprenditori e si trasformano in concessionari. Sono due cose ben diverse. L’imprenditore rischia di suo e pone in atto logiche concorrenziali e strettamente di mercato. Il concessionario opera in un monopolio o in oligopolio in cui i suoi rapporti con il committente pubblico sono giocoforza più importanti di quelli che ha con gli utenti finali.
5. Il ritorno dell’investimento in intrattenimento è positivo per il mantenimento del consenso, ma solo sul breve termine. L’investimento in cultura, invece, può avere effetti solo sul lungo periodo, ma con moltiplicatori molto maggiori. Questo lo sa bene chi ha avuto occasione di usare in passato quei servizi (penso alla Scuola Civica Musicale, o alle attività del Centro Servizi Culturali) e si rende conto di quanto abbiano pesato nella sua crescita e nella sua capacità di rendere poi alla comunità quanto ricevuto.
Allora cosa dovrebbe fare la pubblica amministrazione? Investire solo in cultura? Niente spettacoli? No, deve essere capace di discriminare. La cultura (ripeto, intesa come partecipazione, non come spettacolo di “arte alta”, perché se stai solo a guardare quello pure è spettacolo e basta…) è un investimento di lungo periodo, un investimento in conto capitale che solo la pubblica amministrazione può fare.
L’intrattenimento, invece, dovrebbe essere fornito soprattutto dai privati. Il pubblico dovrebbe adoperarsi per creare le condizioni per un uso corretto e, perché no, remunerativo, della cosa pubblica (piazze, strutture, palazzi storici) e lasciare ai privati l’iniziativa. Ne verrebbe fuori un’offerta d’intrattenimento migliore, più varia, attenta a diverse nicchie di mercato, pluralistica. In altre parole, di maggiore qualità e con maggior risonanza. Proprio come accade per il Siren Festival, che è l’esempio di quanto l’iniziativa privata possa generare, in questo settore, un’offerta migliore rispetto a quella commissionata dalla pubblica amministrazione per ragioni che, prevalentemente, sono legate al prestigio ed al consenso.