Gli arresti domiciliari, perché “Fabio Di Lello sta malissimo”, dicono i suoi avvocati, Giovanni Cerella e Pierpaolo Andreoni, che chiedono una misura restrittiva più lieve. Il 34enne ex calciatore di Vasto è in carcere da 15 giorni: dalla sera del primo febbraio.
Poche ore prima, attorno alle 16.30, aveva sparato con una pistola calibro 9, colpendo tre volte e uccidendo Italo D’Elisa, 21 anni, il ragazzo che aveva causato la morte della moglie di Di Lello, Roberta Smargiassi, che ha perso la vita a 34 anni in un incidente avvenuto il primo luglio 2016 all’incrocio tra corso Mazzini e via Giulio Cesare. Nel tragico scontro tra la Fiat Punto di Italo, che era passato col rosso, e lo scooter di Roberta, la giovane donna era stata sbalzata a terra e per lei non c’era stato nulla da fare: era spirata poco dopo il trasporto all’ospedale San Pio da Pietrelcina.
Italo D’Elisa era accusato di omicidio stradale e l’udienza preliminare si sarebbe svolta nel palazzo di giustizia di Vasto il prossimo 21 febbraio. Ora quel processo si estinguerà, mentre su Fabio pende l’accusa di omicidio volontario premeditato.
Ma gli avvocati Cerella e Andreoni ritengono che il regime carcerario sia incompatibile con le condizioni del loro assistito “per la grave situazione psicologica e psicofisica in cui versa. Sta malissimo, piange in continuazione e non riesce a venire fuori da questo stato di prostrazione”. La difesa chiederà la perizia psichiatrica per verificare se Di Lello sia affetto da un vizio parziale di mente.
“Fabio – ha raccontato la madre Michelina qualche giorno fa – si è lasciato andare piano piano. Soffrivamo molto nel vederlo così: si trascurava ed era ingrassato di 30 chili. Il nostro timore era che potesse suicidarsi, ma nessuno poteva immaginare questa tragedia. Avrei dovuto fare di più per aiutarlo”.