Sempre alta e forte la condanna del bullismo da parte degli adulti. Già, il bullismo appartiene ai giovani, all’età adolescenziale; si evidenzia, nella maggior parte dei casi, nelle scuole, in quei luoghi di aggregazione giovanile in cui si vive a contatto forzato ed oggi, sempre con maggiore evidenza, nel virtuale “cyber mondo” giovanile.
Le pulsioni primordiali che rendono un giovane “bullo” sono proprie di chi non ha ancora beneficiato di un percorso educativo completo, di chi non ha una famiglia normalmente attenta, di chi, magari, vive in un contesto sociale degradato, eccetera, eccetera. Il “bullo” è tale perché ha un comportamento violento e consapevole, si esprime in termini fisici o psicologici, insomma un alfa umano, potremmo dire; chi ne è vittima è quasi sempre un soggetto debole, fisicamente o psichicamente, incapace di difendersi, un obiettivo facile da condizionare o malmenare.
Il “bullo” è un prepotente e siamo abituati a circoscrivere la sua azione nello spazio temporale che viene indicato quale quello dell’ “età evolutiva”, quella in cui si cresce, almeno anagraficamente. Da genitori e, quindi, da adulti nominati educatori sul campo, ci si trova più volte a porsi una domanda di base: in una realtà fondata sempre più sul contrasto interpersonale ed in cui gli elementi di selezione per il successo sono sempre meno rappresentati dal proprio oggettivo valore, per il “bene” futuro dei propri figli, è più opportuno insegnare che per andare avanti occorre avere i gomiti d’acciaio o che sono la costanza, la preparazione ed il rispetto per il prossimo gli elementi che permetteranno la propria realizzazione?
Quasi sempre, non sono certo la chiacchierata, il consiglio ed ancor di più la “paternale” gli strumenti adatti ad ispirare un sistema educativo; gli agenti esterni ad un nucleo familiare, quelli della comunicazione diffusa e “sociale”, sono oggi troppi e troppo forti per rendere i primi, quelli di una volta, efficaci. Ne resta uno solo, silenzioso e persistente, l’esempio.
Anche gli adulti compiono atti di prepotenza. Adulti genitori che, evidentemente, ritengono di essere tali soltanto quando sono in casa e non si accorgono di continuare, invece, ad esserlo anche quando ne chiudono alle spalle il portone. Nel caso degli adulti genitori, i loro atti di prepotenza vengono comunemente considerati gesti di “mobbing”.
Leggo la definizione di “bullismo” in un testo dal titolo “Bullismo. Aspetti giuridici, teorie psicologiche e tecniche di intervento”: “Il termine bullismo non indica qualsiasi comportamento aggressivo o comunque gravemente scorretto nei confronti di uno o più (…), ma precisamente (…) un insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo, posti in essere da un individuo, o da un gruppo di individui, nei confronti di individui più deboli“; “I comportamenti (reiterati) che si configurano come manifestazioni di bullismo sono vari, e vanno dall’offesa alla minaccia, dall’esclusione dal gruppo alla maldicenza, dall’appropriazione indebita di oggetti (…) fino a picchiare o costringere la vittima a fare qualcosa contro la propria volontà”.
Ciò che viene chiamato “mobbing” non è forse “bullismo” da adulti? Ed allora, perché differenziare i termini del medesimo fenomeno sociale in funzione dei loro confini generazionali?
C’è da credere che sia il comportamento dei “bulli adulti” a far da esempio ai ragazzi e di “bulli adulti” siamo pieni, in tutti gli ambienti, di lavoro e di svago, persino nelle Istituzioni, le stesse che diffondono spot televisivi contro il “bullismo”, come fosse questa la soluzione.
L’involuzione propria dei nostri tempi “leggeri”, quelli in cui è, sempre più, tutto lecito, quelli in cui la “personalità” dei singoli è piegata alle logiche dell’obbedienza, della sottomissione, delle convenienze, dell’opportunismo, determina l’esempio per una generazione che impara che “così si fa!” se vuoi emergere e, se non emergi, sei nessuno.
E’ il bullismo che si espande e vince, verso cui mostriamo meraviglia e scandalo se a praticarlo sono i ragazzi ma che origina dai comportamenti colpevoli degli adulti. Chiamiamoli “bullover”.