L’Abruzzo è ancora una volta in ginocchio assieme a tutto il Centro Italia. La natura ha ripreso il sopravvento. La neve caduta impietosa, il freddo pungente, il ghiaccio insidioso, i blackout interminabili, i rubinetti a secco, le tonnellate d’acqua venute giù dal cielo, interi paesi isolati e le ultime scosse di terremoto sono tornati a minare le nostre presunte certezze. Ancora una volta siamo stati spiazzati, abbiamo scoperto di essere dei re nudi.
Troppo facile imprecare, pretendere tutto per noi e affidare la nostra rabbia ai social network, spesso infarciti di bufale, che tanto ci piace condividere. Il populismo non paga, destabilizza e incattivisce.
Dinanzi ad eventi meteorologici eccezionali come quelli che stiamo vivendo, dovremmo avere l’umiltà di ringraziare Dio (il fato per chi non crede) per il fatto di avere ancora un tetto sotto il quale stare e i nostri cari accanto. Ma dovremmo ringraziare anche quanti in questi giorni così difficili, spesso in maniera del tutto volontaria, non si sono risparmiati per aiutare le persone in difficoltà.
Diamo tutto per scontato, ma così non è. Ci sarà il tempo per le polemiche, per imprecare contro i politicanti corrotti e il sistema che non funziona. Adesso bisogna stare accanto a chi soffre e ha perso tutto, mettersi a disposizione e ripartire.
L’Abruzzo, questa terra tanto forte e gentile, ma anche tanto fragile e bistrattata, ha bisogno di ricominciare a sperare con tutto il Centro Italia.
Come sosteneva Euripide, “non c’è dolore più grande della perdita della terra natia” ed io la mia terra non sono disposta a perderla.
“Bisogna prenderci come siamo, gente rimasta di confine – diceva Ennio Flaiano parlando degli abruzzesi – con una sola morale: il lavoro. E con le nostre Madonne vestite a lutto e le sette spade dei sette dolori ben confitte nel seno. Amico, dell’Abruzzo conosco poco, quel poco che ho nel sangue”. Tanto deve bastare per ripartire.